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D’ISABELLA ANDREINI. 121

mentati de’ sui seguaci, e scosso da loro ogni letargo di rozi, e d’insensati gli fà ingegnosi, & accorti, di pigri, e sonnacchiosi; presti, e desti, di spensierati, & otiosi, curiosi, e continuamente ad alte imprese rivolti, di vitiosi virtuosi, d’avari liberali, di codardi animosi, d’ignoranti dotti, e quello che trà gli huomini tanto s’ammira bellissimi dicitori. Che si può desiderar più? Hor io, che (bontà del Cielo) non son tanto ignorante, nè tanto maligno, ch’i’ non conosca la perfettion d’Amore, e non voglia confessarla dico per lui essermi allontanato dal Volgo, e divenuto Heroe (comportisi questo vanto, poiche la gloria si riferisce ad Amore) egli vien chiamato Heroe, per ciò chi è suo seguace divien Heroe. Non son maligno, perche sempre voglio confessare, che quanto è in me di buono, di pellegrino, e di gentile, tutto è in virtù della sua bontà, e particolarmente benedico mille volte quel giorno felice, ch’egli si degnò di ferirmi, e d’avamparmi il cuore facendomi (desideratissima Signora mia) vostro amante, e vostro servo. Così non mi sia disdetto l’amarvi, e ’l servirvi ancora dopò morte come volontieri ’l farò.


Del viver inquieto dell’huomo.


A

Ncorche le parole non habbian forza di consolar i miseri se i non allhora, ch’essi le ascoltano, nondimeno io hò risoluto di scrivervi procurando per quanto s’estende il mio poco sapere di consolarvi, è


Hh          possibi-