Pagina:Lettere (Andreini).djvu/241


LETTERE

me di vita, come chi ne’ larghi prati miete ogni sorte d’herba, e non pur vedrete dalla forza dell’uno, e dell’altra l’humana messe atterrata: ma i più superbi Tempij, & i più alti Palazzi, e non solamente questi: ma le Ville, le Castella, le Città, le Republiche, i Regni, e gli Imperi, e che ciò sia vero, vedesi, che d’una gran Città rimane appena un picciol grido per far, ch’altri sappia, ch’ella già fu al Mondo; bisogna dunque haver in mente, che non pur gli huomini, le Cittadi, & i Regni si ridurranno in polvere: ma che questo gran Mondo, che par, che non possa cadere, caderà anch’egli, riducendosi ogni sua delitia in cenere; però se cosa alcuna non può esser sicura dall’armi del Tempo, e della Morte, non vi maravigliate, se ’l Signor Tasso non ha potuto andarne essente, nell’istesso modo, che non dee maravigliarsi un particolare, quando la Città và tutta à sacco, se la sua casa non s’è salvata. Non bisogna dunque, che dispiaccia tanto, e principalmente ad un’huomo prudente, come siete voi, se un solo sopporta quello, che ogn’un sopporta; perche tutto quello, che più d’infelice è quà giù con l’esser commune si fa tolerabile, e la Morte addolcisse l’amaro della sua severità col far la sua funesta legge eguale ad ogn’uno; però Signor mio, benche la morte del celebratissimo Signor Tasso, non possa esser pianta à bastanza nè da voi, nè da tutto ’l Mondo, vi prego nondimeno à darvi pace, & à rasciugar le lagrime, lequali voglio, ch’abbian servito sin qui, per far conoscere, che voi havete sentita così gran


perdita