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D’ISABELLA ANDREINI. 106

spatio io stessi senza rammentarmi della bellezza vostra, e dell’amor mio. Qual si voglia vaghezza, che ’n altra donna possa rappresentarmisi innanzi, non potrà mai crollare non che svellere la saldissima pianta della mia fermezza, e s’alcuna volta avvenisse, ch’io mirassi altra donna, assicuratevi, che non sarebbe per altro, che per adorar in lei un raggio del vostro lucidissimo splendore, essendoche, non posso veder bellezza in altra, che non mi sembri quella, che ’n voi risplende, e fuor di questo siate certa, che se talhora guardo alcuna giovane, ch’appresso l’altre habbia titolo di bella, nell’istesso modo la guardo, che si suol guardar una figura dipinta, lodando l’eccellenza dell’Artefice nella disposition de i colori, dell’attitudine, e dell’altre cose appartenenti à quell’arte: ma posto fin al mirare è posto ancor fin al pensare, dico al pensar di lei, che di voi continuamente penso, e non hò altro in mente, che ’l compiacervi. Per quei begli occhi, che furono dolci, & accorti predatori della mia libertà vi giuro, che se v’aggrada, ch’io sempre da voi lontano guidi vita solitaria, e sia in uno e cieco, e sordo, e muto (e pur sarebbe miserissimo stato il mio) volontieri il farò. M’allontanarò da gli huomini, dalle Città, dal Mondo, e finalmente dalla vita propria; ma quando non vogliate tanto mio male, basta dirmi, che non prestate fede à quegli invidiosi, e maligni, che procurano di contaminar i nostri affetti. Fatemi gratia di farmi sapere, che siete non men conoscitrice delle lor fintioni, che del mio amore. Aspetto rispo-


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