Pagina:Lettere (Andreini).djvu/212


D’ISABELLA ANDREINI. 94

ve offesa sospirai, e piansi amaramente. Hora conosco esser felici quelli amanti, che per tali accidenti sospirano, e piangono. Felice anch’io fui, benche allhora non conoscessi tanta felicità, e non m’avvedessi, che i lievi sdegni, le brevi ire, & altri simili avvenimenti sono stati trovati dal nostro gran Signor Amore, per condir le nostre gioie, e renderle più care, e più soavi: Ma ben si vendica egli al presente, che, se già piansi senza cagione, hora colpa di necessitata lontananza, l’hò così giusta di piangere, che, s’io distillassi per gli occhi il cuore, non piangerei à bastanza la mia doglia, e quando tutto in lagrime mi corvertissi, non potrei dir d’haver pianto tanto, quanto conviensi al mio fiero tormento. Potrò io sostenere di viver più lungamente lontano da voi? potrò io vivere senza udir il suono della vostra angelica voce? potrò io non morire lungi da que’ rubini, e da quelle perle, ond’esce l’aura della mia vita? e potrò io finalmente non ritornar al mio bene, al mio cuore, alla mia vita, & alla mia anima? ohime che non è possibile essendom’io una volta alimentato di così degno cibo lo star più lungamente digiuno. Molte volte per alleggierir il mio male cerco d’ingannar me stesso, e con la memoria delle dolcezze passate mitigar la noia delle cure presenti: ma non si può, anzi che, quanto più cerco di scemar il mio dolore col ricordarmi i passati contenti, tanto più m’affliggo. Tutte le passate gioie mi vengono in mente, e mi struggo di doglia non potendole godere. Non sia vero, che più mi strugga. Alla più lunga frà quattro, o


Aa     2          cinque