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D’ISABELLA ANDREINI. 89

me stelle; e quando per vostra bontà vogliate da tanto incendio liberarmi, la bella Arianna (cred’io) non si sdegnerà per degna ricompensa di così nobil’attione di cingervi il crine con la sua propria. Non vogliate dunque negare à voi medesima tanta gloria; e se pur volete, ch’io finisca i miei giorni in questo cocentissimo fuoco, fate almeno, ch’i’ possa nel mio morire immitar la Fenice, laquale (così è fama) dovendo finir sua vita vuol prima affissar gli occhi nel Sole, benche nel Sole sia posta la sua morte. Mi si conceda morendo d’affissar queste mie innamorate luci in voi mio lucidissimo Sole, sola e vera cagione della mia morte; e perche maggior sia in voi il contento dell’arder mio m’avvenga come Fenice il rinovarmi, & à guisa di quell’animaletto, che nelle fornaci di Cipro, nell’incendio si nutrisce, mi sia conceduto nell’amoroso mio fuoco nutrirmi; e se ciò non basta, che per vostra fierezza vogliate, che affatto i’ muoia, eccomi pronto à sostener la morte; ma avvertite, che potrebb’esser, che ’l contento, che riceverete (crudele) nel vedermi morire havesse tanta forza, che voi parimente uccidesse. Deh non vogliate vi prego, per desiderio della mia morte, metter in forse la vostra vita: ma siate contenta di consolar colui, che senza la gratia vostra è impossibile, che viva.


Z          Della