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D’ISABELLA ANDREINI. 80

e ’l solfo, nè per ciò mi lagno, anzi, che sommamente ne godo, poiche non è giogo più dolce, nè più soave di quello, che mette a i cuori una divina bellezza, laquale può a voler suo far de gli huomini ciò, ch’à lei piace. Hora, se dell’amor mio; e della mia fè dubitate, (che dubitar non dovreste) considerate e l’uno, e l’altra in voi, che, se tanto farete n’anderà il dubio, e si vedrà la perfettione. Se bellezza maggior della vostra si trovasse, direi, la mia donna hà ragion di temere: ma se bellezza maggiore trovar non si può, perche far a voi stessa, & alla mia sincerità sì gran torto? quando in ogni altra mia attione havessi mostrato poco senno, in questa dell’elegger d’amarvi, sò, ch’altri mi terrebbe per savijssimo. Mi scrivete, che havendo l’altra sera invitata due volte in ballo la Signora N. e voi una sola è forza, che l’animo mio sia inclinato più a lei, che a voi; & è possibile, che non vogliate credere, che ciò, ch’io feci fù per levar ogni sospetto? Voi più volte m’havete detto, che nel particolar del nostro amore io sia avveduto, hor s’io per ubbidirvi mi tolgo le proprie contentezze, perche accusarmi? Non hà dubbio, che più mi sarebbe stato caro il favor della vostra mano, che di qual’altra si sia, benche dell’istessa Venere, me ne privo, e ’n vece d’esser compassionato son tormentato. Se honesti prieghi hanno forza di muover giusta pietate, concedetemi, che questa sera io possa parlarvi all’usata finestra, ch’io spero di levarvi la falsa opinion dal cuore, e farvi ancora sospirar la penosa vita, che m’havete data co’ vostri dubij. Da voi vengono


le mie