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D’ISABELLA ANDREINI. 47

poiche siete egualmente gelate, e pessime; e tu sì trista sei, che molte volte uccidi il padre, senza offender giamai la tema tua madre, e l’infelice cura tua nutrice: Sogliono (misero me) le altre creature, subito che hanno aperte le luci alla luce del giorno, nutrirsi di latte, e tu di lagrime ti nutristi, e quel nutrimento ti piacque tanto, che benche tu sij fatta grande a’ nostri mali ti vai tuttavia di quell’istesso cibo mantenendo, tu superi te medesima nel timore, e quanto più temi, tanto hai maggior forza, e tanto ti dispiace il bene quanto il male, tanto il vero quanto il falso. Tu da te stessa ti vai figurando molte pazze chimere; e nel dubbio cuore hai sempre un’infinita schiera di pensieri tra loro diversi, e contrarij, de i quali altri afferma il tuo dire, altri lo nega, onde mettono sempre in forse ogni tuo detto. Tu sei veramente maligna febbre dell’amore, e della speranza, e continuamente t’affliggi, non men di dubbia, che di certa pena, così inquieta, à te stessa noiosa, non che ad altrui passi infelicemente i giorni tuoi lagrimosi, senza poter in alcun tempo à tuoi dolori trovar conforto, poiche in compagnia del sospetto, e del timore, vai continuamente errando, ad ogni respirar, ad ogni voce, ad ogni volger d’occhi, ad ogni moto, & ad ogni motto ti conturbi: ma come vinto da sovverchia passione, volgo i lamenti à costei, che non m’ode; e se pur m’ode, gode (lasso me) delle mie querele, e se le prende in giuoco. Ritornando à voi Signor mio l’incominciato ragionamento, dico haver, colpa di questa amara gelosia, perduto ogni bene: Io come


privo