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i. versi italiani 15

mira a’lor piedi l’impotente scettro
spezzato e infranto, quello scettro altèro
che un di soggetto al cenno suo già vide
100e popoli e città, regni ed imperi.
     Avanza il passo, e le funeree tombe
mira di quei che con fulmineo acciaro
fecero un di tremar le avverse turme;
al di cui lampo, spaventate, il tergo
105volsero un giorno le atterrite schiere;
di quei che, carchi di vittrici palme,
in trionfai superbo cocchio assisi,
dei nemici insultàro al mesto pianto,
ed ora appiè de’ tenebrosi avelli
110miran giacer gli aridi allori e il brando,
non più terror d’armate squadre ostili,
e il non più forte scudo e l’elmo e l’asta
e le neglette ed atterrite insegne.
Quindi le dotte e sapienti carte
115e i savi dogmi ai muti avelli accanto
premere ei vede e calpestar feroce
il cieco oblio con l’ingiurioso piede,
e d’ogni intorno sovra il suol disparse
spezzate cetre, che armoniose il suono
120udir già féro ed ammirar la destra
che l’aurate trattò musiche corde.
Con ciglio attento e rispettosa fronte
sul sacrato ricetto aifin s’innoltra.
De la polve dei giusti intorno ei mira
125fra i vivi raggi di splendor lucente
le felici seder gloriose larve,
di trionfai corona il capo cinte,
in man reggendo la vittrice palma:
l’oro fulgente e le preziose gemme
130premon col piè: l’inesorabil Morte,
fissi gli occhi sul suolo, immobil guata
giacere infranta la negletta falce,