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198 ii. versi frammenti e abbozzi

Qual sfregio mai ti feci? Il perché dimmi
dall'alveo materno mi traesti
forse a scherno e ludibrio de' mortali?
Mortai pur io, non sono a lor secondo,
né merto pena tal. Benedicesti
pure la terra, di cui me plasmasti...
Forse de la tua diva luce un raggio
non balenò ne la mia fronte, per cui
mi festi a te simile, e lo spirto
sentii in me; in me sentii esultar le ossa?
Opra delle tue mani son dunque io,
né disdegnar me puoi, qual belva i nati.
È vero: larga mi fosti de' tuoi doni,
di quanti doni ingegno adunar puote.
Sitibondo qual cervo all'onda corsi,
premei le tue vestigia, né mi arrestai...
Perché poi negarmi maggiori beni
e dei mortali farmi, ahi dispietata!
il più meschino, e dei mali spezzarmi
sul capo di Pandora il fatai vaso?
Tu ridesti forse de la mia sorte.
Ridi pur, ché n'hai ben donde: oh prodezza!
ridi dell'opra tua. Perdona, o Matre:
è il dolore che parla, non parlo io.
Son opra tua pur io, né mi fa creder
che me lascerai tra tante pene.


3


Ombra delle tettoie. Pioggia mattutina dal disegno di mio padre. Iride alla levata del sole. Luna caduta secondo il mio sogno. Luna che, secondo i villani, fa nere le carni, onde io sentii una donna che consigliava per riso alla compagna sedente alla luna di porsi le braccia sotto il zendale. Bachi da seta, de' quali due donne discorrevano fra loro, e l'una diceva: — Chi sa quanto ti frutteranno! — e l'altra, in tòno flebilissimo: — Oh taci! ché ci ho speso tanto, e Dio voglia, ecc.