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i. versi italiani 11

     Dunque fia ver che d'Israello io miri
scosso l'impero con pupille immote
ed il nemico altèro
su le veloci andar vittrici ruote?
15Dunque fia ver che inutilmente appenda
al fianco il brando inoperoso e vile?
No; se il valore ostile
superar non potesti, a tanti mali
tu sottrar mi dovrai, giorno funesto;
20no, non vedrò delle tue ore il resto!
     Come talor su le garganie selve
antico faggio, ovver quercia frondosa,
da l'Aquilon percosso
il forte tronco, e l'alta cima annosa
25cade atterrata, e la cervice altèra
abbassa, e scuote la superba chioma
da l’austro ancor non doma;
cosi, trafitto da funesto ferro
cade Saulle, e sul terren si aggira
30spirando ancor dagli occhi orgoglio ed ira.
     Morte... sdegno... furore... ombra fatale...
l'insolito pallor... gli orrendi spetri...
l'immagini funeste...
larve... pensieri spaventosi e tetri,
35tutto d’innanzi inaspettata scena
gli mostra... Oimè! qual improvviso lume
gli balena alla mente? — Ah! il nume, il nume..
Il cielo, oimè! sprezzai:
del Dio vendicator giusto è lo sdegno...
40Tutto perdetti, e la corona e il regno! —
     Si dice; e bieco intorno il guardo volge,
e delle ferree spade infra il romore
mira un guerriero: — Ah! vieni
vieni — gli dice: — dal trafitto core
45l'alma non si disgiunge: ah! tu m'uccidi. —
Noi nega quegli, e il fatai brando innalza