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6 i. puerili

di te degni non son; ma tu potrai,
amato padre, compatirli, e insieme
gradirli ancor, se ciò sperar m'è dato.


Risposta del conte Monaldo.


Il genitor, che scrive — dalle campagne amene,
al suo diletto figlio — invia salute e bene.

I versi tuoi mi giunsero — nello spirato mese;
non ti risposi, e forse — io ti sembrai scortese.
Acerba forse parveti — sì lunga trascuranza,
e colla genitrice — ne fêsti già lagnanza.
5Ma, figlio, apprendi come — è il giudicar fallace,
come la mente nostra — è di fallir capace.
I versi tuoi mi piacquero — e il tuo pensier fu grato
al genitor, che gode — esser dal figlio amato.
Sollecita risposta — io darti avrei voluto,
10ma farla a mio bell'agio — finor non ho potuto.
Le cure, il sai, mi stringono — e, dalle cure oppresso,
l'uomo non è padrone — del tempo e di se stesso.
L'estro non è più vivido — come nei giorni aprici;
sono i pensier poetici — di giovinezza amici.
15Questa per me già scorse, — e per l'età matura
la strada del Parnaso — strada non è sicura.
Pur, come posso scrivoti — per dirti in brevi accenti
che al sommo a me son cari — i tuoi componimenti,
che dello studio amico — sempre vederti io bramo,
20che fino ad or contento, — figlio, di te mi chiamo.
Sì, pago son, veggendoti — amico del sapere:
giovin che studia adempie — metà del suo dovere.
Nel farlo a retto fine — l'altra metà consiste;
deve un cristiano al cielo — drizzar sempre le viste.
25Ti vuo' di gloria amico, — ti vuo' d'onor seguace,
ma non di quell'onore — che al mondo alletta e piace:
di quell'onor bramoso — io voglio il figlio mio
che a noi si spetta in cielo, — che ci ha promesso Iddio.
Fuor della gloria eterna, — ogni altra gloria è vana,
30è vento, è fumo, è polvere — ogni grandezza umana.