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appressamento della morte 43

     (O Italia mia dolente, o patria lassa
140che quant’alta a’ bei giorni tanto cruda
fosti a’ piú neri, e tanto ora se’ bassa,
     ben sei di luce muta e d’onor nuda,
che tigre fosti quando era tua possa
e or se’ pietosa ch’uom per te non suda!)
     145Orrendo un gel mi sdrucciolò per l’ossa,
e mancar sentii ’l fiato e ’l cor serrarse
quand’a l’uscio udii dar la prima scossa.
     Sonâro i ferri al suo dischiavacciarse,
e seguí di persona un calpestio,
150e di lontana fiamma un chiaror parse.
     Come chi vide ’l lampo che fuggío,
aspetta lo fragore e sta sospeso
tal senza batter ciglio mi stett’io.
     E ’l genitore entrar che tenea steso
155il destro braccio e ne la man mirai
un ferro e ’n la sinistra un torchio acceso. —
     — Morta è — disse — tua druda e tu morrai. —
Su le ginocchia i’ caddi in quel momento:
piagneva e volea dir: — Mio padre, errai. —
     160Ma la punta a mia gola e’ ficcò drento,
e caddi con la bocca in su rivolta,
e ’l vital foco tutto non fu spento.
     Parvemi che l’acciaro un’altra volta
alzasse, e di vibrarlo stesse in forse;
165poscia, com’uom che di lontano ascolta,
     l’udii cercar de l’uscio: indi ritorse
il passo, e ’n cor piantommi e lasciò ’l brando,
per che l’ultimo ghiaccio lá mi corse,
     e svolazzò lo spirto sospirando. —