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ὑπὲρ τοῦ παιδός, καὶ νικᾷ ἐν ἅπασι τοῖς Θεοῖς· καὶ τὴν ἐπώνυμον ὁ τόπος (ὁ Ἄρειος πάγος) λαμβάνει τὴν αὐτήν. «Muove lite Nettuno a Marte per cagione del proprio figlio, e la vince co’ voti di tutti gli dèi; e da questo avvenimento il luogo (l’Areopago) trae il suo nome». Sono da vedere però intorno a questo famosissimo giudizio, Lattanzio, libro I, cap. 10, e libro V, cap. 3; Sant’Agostino, Della cittá di Dio, libro XVIII, cap. 10, ed altri, fra’ quali i citati nella nota seconda al verso 119.

Verso 135. — «...e neri tori». — S’immolavano tori a Nettuno, come si raccoglie anche da Omero, Iliade, libro XI, verso 727; da Pindaro, Ode Olimpica XIII, verso 98 e seguente; Pitica IV, verso 365 e seguente; Nemea VI, verso 69; e da Virgilio, Eneide, libro II, verso 201 e seguente, libro III, verso 119; e i tori erano neri, che apparisce sí da questo luogo dell’inno come dal libro III, verso 6, della Odissea. Parmi da notare che in Efeso i giovani che facean da coppieri nella festa di Nettuno, eran detti Ταῦροι «Tauri» ossia Tori, come vedesi in Ateneo, libro X, e in Eustazio, Comento al ventesimo della Iliade; e forse questa era quella chiamata Ταύρεια «Taurea» che Esichio dice essersi celebrata in onore di Nettuno.

Verso 136. — «In Trezene». — Cittá dell’Argolide, sacra a Nettuno, e però detta «posidonia», cioè «nettunia», al rapportare di Strabone. Dice Plutarco, nella Vita di Teseo, che Ποσειδῶνα... Τροιζήνιοι σεβουσι διαφερόντως, καὶ θεὸς οὗτος ἔστιν αὐτοῖς πολιοῦχος, ᾧ καὶ καρπῶν ἀπάρχονται, καὶ τριαιναν ἐπίσημον ἔχουσι τοῦ νομίσματος: «quei di Trezene rendono un singolare onore a Nettuno, dio tutelare della loro cittá; gli offrono le primizie dei frutti, ed hanno il tridente per insegna della loro moneta». Pausania, libro II, nota lo stesso delle antiche monete dei trezenii, e dice inoltre che essi Ποσειδῶνα (σέβουσι) βασιλέα ἐπίκλησιν: «onorano Nettuno sotto il titolo di re».

Ivi. — «...in Geresto». — Porto illustre e castello che Plinio chiama «cittá», nel promontorio dello stesso nome in Eubea. V’avea un tempio famosissimo di Nettuno ricordato da Strabone, libro X, e da Stefano il geografo, alla voce Γεραιστός.