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canto ottavo 197

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     Senza custode alcuno era l’entrata
ed aperta la via perpetuamente,
che da persone vive esser tentata
la non può mai che malagevolmente,
e per l’uso de’ morti apparecchiata
fu dal principio suo naturalmente,
onde non è ragion farvisi altrui
ostacolo a calar ne’ regni bui.
9
     E dell’uscir di lá nessun desio
provano i morti, se ben hanno il come;
che, spiccato che fu de’ topi l’io,
non si rappicca alle corporee some,
e ritornando dall’eterno oblio
sanno ben che rizzar farian le chiome;
e fuggiti da ognuno, e maledetti
sarian per giunta da’ parenti stretti.
10
     Prèmi né pene non trovò nel regno
de’ morti il conte, ovver di ciò non danno
le sue storie antichissime alcun segno.
E maraviglia in questo a me non fanno;
ché i morti aver quel ch’alla vita è degno,
piacere eterno, ovvero eterno affanno,
tacque, anzi mai non seppe a dire il vero,
non che il prisco Israele, il dotto Omero.
11
     Sapete che se in lui fu lungamente
creduta ritrovar questa dottrina,
avvenne ciò perché l’umana mente
quei dogmi ond’ella si nutrí bambina
veri non crede sol, ma d’ogni gente
natii, quantunque antica o pellegrina.
Dianzi in Omero errar di ciò la fama
scoprimmo: ed imparar questo si chiama.