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canto quinto 163

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     Poi dubitato fu se al maggior nerbo
de’ granchi che verrebbe omai di fuore,
come torrente rapido e superbo,
opporsi a mezza via fosse il migliore,
ovver nella cittá con buon riserbo
schernir, chiuse le porte, il lor furore.
Questo ai vecchi piacea, ma parve quello
ai damerini della patria bello.
33
     Come Aiace quel dí che di tenèbre
cinte da Giove fûr le greche schiere,
che di salvar Patroclo alla funebre
cura fean battagliando ogni potere,
al nume supplicò che alle palpèbre
dei figli degli achei desse il vedere,
riconducesse il dí, poi, se volesse,
nell’aperto splendor li distruggesse;
34
     cosí quei prodi il popolar consiglio
pregâr che la virtú delle lor destre
risplender manifesta ad ogni ciglio
potesse in parte lucida e campestre,
né celato restasse il lor periglio
nel buio sen di quella grotta alpestre.
Vinse l’alta sentenza, e per partito
fuori il granchio affrontar fu stabilito.
35
     E giá dai regni a rimembrar beati
degli amici ranocchi, che per forza
gli aveano insino allor bene albergati,
movevan quei dalla petrosa scorza;
Brancaforte co’ suoi fidi soldati,
per quel voler ch’ogni volere sforza
del lor padrone e re, che di gir tosto
sopra Topaia aveva al duce imposto.