Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, II.djvu/880

APPENDICE II [1824] Giacomo Leopardi al Conte Leonardo Trissino Voi per animarmi a scrivere siete solito d’ammonirmi che l’Italia non sarà lodata nè anco forse nominata nelle storie de’ tempi nostri, se non per conto delle lettere e delle sculture. Ma da un secolo e più siamo fatti servi e tributari anche nelle let- tere, e quanto a loro io non vedo in che pregio o memoria dovremo essere, avendo smarrita la vena d’ogni affetto e d’ogni eloquenza, e lasciataci venir meno la facoltà dell’immaginare e del ritrovare, non ostante che ci fosse propria e speciale in modo che gli stranieri non dismettono il costume d’attribuir- cela. Nondimeno restandoci in luogo d’affare quel che i nostri antichi adoperavano in forma di passatempo, non tralasceremo gli studi, quando anche niuna gloria ce ne debba succedere, e non potendo giovare altrui colle azioni, applicheremo l’ingegno a dilettare colle parole. E voi non isdegnerete questi pochi versi ch’io vi mando. Ma ricordatevi che si conviene agli sfortunati di vestire a lutto, e parimente alle nostre canzoni di rassomi- gliare ai versi funebri. Diceva il Petrarca: ed io son un di quei che 7 pianger giova. Io non dirò che il piangere sia natura mia propria, ma necessità de’ tempi e della fortuna.