1755. |
A Giuseppe Melchiorri. |
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Caro Peppino, Ti ringrazio tanto e poi tanto dell’inserzione
che hai procurato alla mia lettera,' e per tuo mezzo ringrazio
ancora distintamente il signor Cavalletti, che ti prego a salu-
tare in mio nome. Ti sarò poi gratissimo delle notizie vaticane
che mi prometti: quanto alle collazioni plautine basterà sapere
se ed in qual modo si possono avere; che poi circa il tempo ed
i mezzi, cioè il danaro, si combinerà facilmente la cosa per via
de’ commissionati di Parigi.
La tua Nina ha ragione di dolersi di me, non sapendo le mie
circostanze; ma io non ebbi il torto di non venire, come avrei
desiderato: perchè negli ultimi venti giorni che stetti in Roma,
non uscii più di casa; l’ultimo giorno, mi levai di letto alle due
pomeridiane per fare il baule; dopo poche ore tornai a coricarmi;
e la mattina seguente, dal letto scesi alla vettura.
Mi dispiace d’intendere che le tue pratiche per l’impiego non
riescono secondo i tuoi e i miei desiderii. Non bisogna però sco-
raggisi: io non lascio di sperare fermamente che presto o tardi
tu conseguirai il tuo troppo giusto intento. Salutami la Tuta e
i bambini, e Bonifazi e tutta la sua società, e nominatamente
Firrao. Ranieri sta bene, e ti saluta molto, ringraziandoti della
memoria che hai di lui. Addio, caro Peppino, voglimi bene, e
credimi sempre il tuo Giacomo.
A chi fra noi non ignora il nome di V. S. è troppo noto, aver Lei
dedicato il suo bellissimo ingegno a tutt’altra causa che a quella sì poten-
temente ed imperterritamente sostenuta dall’incomparabile autore dei