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reverendo che chiude il volumetto. Qui non c’è nulla di nuovo in let- teratura, salvo che Silvio Pellico ha messe fuori tre nuove tragedie,’ che non ho ancor lette. Peyron attende a compilare un lessico copto. Martini ha terminate le sue Lezioni di fisiologia. Di libri francesi recen- temente pubblicati non conosco altro che un Corso di filosofia del Damiron, discepolo di Vittorio Couxin [sic], e una Philosophie du droit di Lerminier,5 che mi pare assai buona nella sua parte espositiva. Io vo seguendo coll’occhio, per quanto mi è possibile, i progressi della dottrina Sansimoniana, teste nata, e destinata, secondo che mi par di ritrarre dall’esame che ne sto facendo, ad ampliarsi maravigliosamente, e ad operar commozioni grandissime ne’ futuri popoli. Ho interrotti, e rallentati i miei studi, col cominciare dell’inverno, a cagione della mia solita indisposizione di laringe, della quale mi confidava di essere gua- rito. Per questo, c per alcuni affari di famiglia non potrò quest’anno venire a Firenze, o costì, com’io ti promisi, e come desidero grande- mente, poiché, se tu hai bisogno di parlarmi, come dici, io ne ho una necessità, avendo, oltre alla brama di vederti, mille cose da conferir teco; che non potrebbero capire in un volume, non che in una lettera. E l’amore, che tu mi porti, mi è sì caro, e quello che io te ne rendo, coll’ammirazione delle tue rare parti, è tanto, e così sincero, che l’es- sere e conversar teco mi sarebbe de’ maggiori piaceri che io possa aver in questa vita, che mi si va facendo ogni giorno più vuota e fastidiosa. Oh potessi tu, ora che stai meglio di salute, fare una corsa fino a Torino! Scrivimi del tuo ritorno in Firenze, dammi delle tue nuove, e conti- nua ad amarmi coll’usato affetto; chè non ad altro che all’amore, e al desiderio d’incoraggiarmi posso attribuire le lodi che mi hai date, e i conforti che mi porgi. Addio, addio. Il tuo Gioberti. Di Torino, ai 30 del 1832. Peyron, Sauli, Martini, e Dettori ti salutano con molto affetto, e si rallegrano del cominciato miglioramento. Ho sentito vivamente la morte del povero Ilocqueda, la quale mi giunse nuova, benché poco poi ne leggessi la notizia nell’antologia. A proposito di questa ti fo sapere, che ho veduto in essa su’ tuoi canti un articolo,4 che levate via le citazioni di quelli, si riduce a ben poca cosa, e non corrisponde a quello che avrei desiderato.