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e perchè questo accidente mi porge l’occasione di scrivervi. Vi avrei già scritto da lungo tempo, e molte volte se avessi saputo che foste in Firenze. Ma io vi credeva a Recanati e conoscendo la vostra indi- sposizione, m’incresceva, o per dir meglio, non osava gravar la vostra sorella di rispondermi in vece vostra. D’altra parte, ho chiesto, e inteso spesso delle vostre nuove dall’ab. Baruffi, dal sig. de Sinner per mezzo del Peyron, e da altri. I lo sempre pensato a voi; e posso dire con verità, che non è passato giorno, in cui non mi sia venuta davanti l’imagine vostra congiunta a’ miei studi, e alle più care affezioni del mio cuore. E come potrebb’essere altrimenti, avendovi praticato qualche tempo, e avendo continuamente i vostri scritti per le mani? Questo pensiero e questo pascolo mi sarebbero cagione di un puro diletto: se la loro dol- cezza non fosse amareggiata dall’idea della vostra sventura, e dal par- teciparvi che fo così vivamente, che il mio affetto, ma non le mie parole, ve lo potrebbero esprimere. La lettera premessa alle vostre poesie stam- pate ultimamente, mi ha stracciata l’anima. Che vi dirò, mio caro Leo- pardi? Tenterò io di darvi qualche consolazione? No; nè io sarei atto a farlo, nè voi ne avete bisogno. Il vostro animo, il vostro ingegno, l’altezza della vostra filosofia, e la stessa grandezza del vostro infor- tunio, possono e debbono esservi di qualche conforto. Le mediocri calamità spesso abbattono l’animo; ma una infelicità vera, grande, irre- mediabile negli animi grandi come il vostro, dee apportar loro un non so che di rigido, e d’indomabile, che mitiga l’amarezza del loro stato. Ricordatevi della sentenza, che chiude il vostro Parini; la quale io porto fissa nella mente, e scolpita nel cuore, e me ne valgo nei mali della vita, benché conosca non potermisi applicare per ogni verso, come potete far voi; ma ho conosciuto per prova, che giova talvolta nella miseria l’innalzarsi al cospetto di sè medesimo, anche più di quello che il vero e il diritto comportano. Ma questo a voi non può occor- rere; e consolandovi colla grandezza delle vostre facoltà, troverete che questa ancorché non possiate più nè studiare, nè scrivere, non è per- duta per voi medesimo. Dico tutto questo ragionando secondo la vostra persuasione, per cui siete disperato di guarire, e anche di migliorare; la quale vorrei che vi toglieste dell’animo; essendo voi in sul fior degli anni, e trattandosi di mal di nervi, non mai per sua natura insanabile. Ma se vi pare, che io speri senza fondamento, e senza ragione, com- patitemi. Sebbene vi sia tolta per l’avvenire ogni facoltà di studiare, e di comporre, voi avete fondata abbastanza la vostra gloria poiché