Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, II.djvu/576

1638. Di Giovanni Rosini.
[Pisa, 27 luglio 1831.]

A.C. Eccovi il Canto VI di Marco Pacini - col cartolino da cambiarsi nel V. - State quieto sulle lettere p[er] la bella Fanny; anzi vedrò se mi riesce trovar un viglietto di pochi versi della Staél - ma non lo spero. Sto scrivendo (gran poter del venirne voglia!) il Discorso sugli amori del Tasso. L’avevo promesso fino dal 1822: ma veramente non ci pensava più: quando, a un tratto, ho ripreso i Zibaldoni fatti. E il discorso è tutto abbozzato. Ve Io manderò al solito prima di darlo al torchio. - Vedrete che il Serassi non è di buona fede. Addio. A proposito - Siccome in lingua non se ne sa mai abbastanza, ditemi che cosa pensate su\Y urlare il monte con cui il Caro ha tradot- to magno cum murmure montisi A me pare un’improprietà, e vi ho scherzato nel Canto VII. dove nel viaggio di Marco fo una parodia della tempesta del I.° delPEneide. - Eccovi i versi: Di Sinnace Là scendendo con finta cortesia, Al mestiero per fin della mezzana, Agli aquiloni fece dar la via. Perchè levasser Tonde di mattana: Urlar fè il monte - Come? un monte urlare? - L’ha detto il Caro: ed io non ci ho che fare. Addio. Salutate gli amici. 27 luglio 1831.

1639. A Monaldo Leopardi.
[Firenze] 6 Agosto [1831]

Caro Papà E gran tempo ch’io son privo de’ suoi caratteri, ed è inutile ch’io le parli del desiderio che ho di rivederli. Le mie nuove