1638. |
Di Giovanni Rosini. |
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A.C.
Eccovi il Canto VI di Marco Pacini - col cartolino da cambiarsi
nel V. - State quieto sulle lettere p[er] la bella Fanny; anzi vedrò se
mi riesce trovar un viglietto di pochi versi della Staél - ma non lo
spero. Sto scrivendo (gran poter del venirne voglia!) il Discorso sugli
amori del Tasso. L’avevo promesso fino dal 1822: ma veramente non
ci pensava più: quando, a un tratto, ho ripreso i Zibaldoni fatti. E
il discorso è tutto abbozzato. Ve Io manderò al solito prima di darlo
al torchio. - Vedrete che il Serassi non è di buona fede. Addio.
A proposito - Siccome in lingua non se ne sa mai abbastanza,
ditemi che cosa pensate su\Y urlare il monte con cui il Caro ha tradot-
to magno cum murmure montisi A me pare un’improprietà, e vi ho
scherzato nel Canto VII. dove nel viaggio di Marco fo una parodia
della tempesta del I.° delPEneide. - Eccovi i versi:
Di Sinnace
Là scendendo con finta cortesia,
Al mestiero per fin della mezzana,
Agli aquiloni fece dar la via.
Perchè levasser Tonde di mattana:
Urlar fè il monte - Come? un monte urlare? -
L’ha detto il Caro: ed io non ci ho che fare.
Addio. Salutate gli amici.
27 luglio 1831.
1639. |
A Monaldo Leopardi. |
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[Firenze] 6 Agosto [1831] |
Caro Papà
E gran tempo ch’io son privo de’ suoi caratteri, ed è inutile
ch’io le parli del desiderio che ho di rivederli. Le mie nuove