Amico Dilettissimo!
L’inferma salute vostra mi è sempre stata cagione di rammarico:
e come potrei non affliggermi per un amico sì buono, per un uomo
sì necessario all’onore delle lettere e dell’Italia? Ma ora ne sono più
profondamente tristo e addolorato; poiché mi si toglie di ripigliare il
trattato co’ Magistrati di questa Università intorno alla cattedra di
Storia naturale, e di mandare ad effetto i nostri disegni intorno a quella.
Ah se la vostra salute migliorasse! se ci desse speranza che voi poteste
divenir abile a prendervi qualche fatica! Le cose non sono qui mal dispo-
ste: mi pare anzi che non vi sarebbero ostacoli da superare. Quale van-
taggio e onore verrebbe a’ nostri studi, se potessero annoverarvi fra’
suoi luminari! Quale sarebbe la mia consolazione di vedervi tolto per
sempre alle tenebre di Recanati; e di avere vicino, qui nella stessa terra,
e sotto lo stesso cielo un amico così caro, così adorabile! Ma io non
voglio darvi a legger molto e finisco. Solo vi prego a darci vostre noti-
zie. Una riga ci basterà; e spero che una riga potrete pure scriverla.
I Tommasini vi salutano caramente, e con essi la mia Clelietta. Vi
abbraccio col cuore; e col cuore vi ripeto la preghiera che vi fa PAde-
laide di venire a stare alcun tempo con noi; passato il calor della state.
Secondate una volta almeno questo nostro vivissimo, e giustissimo desi-
derio. E amate
L’affmo vostro Maestri
1548. |
A Monaldo Leopardi. |
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[Firenze] 8 Luglio [1830] |
Dio sa quanto le son grato de’ suoi avvertimenti circa il mio
libro. Io le giuro che l’intenzione mia fu di far poesia in prosa,
come s’usa oggi; e però seguire ora una mitologia ed ora un’al-
tra, ad arbitrio; come si fa in versi, senza essere perciò creduti
pagani, maomettani, buddisti ec. E l’assicuro che così il libro
è stato inteso generalmente, e così coll’approvazione di seve-
rissimi censori teologi è passato in tutto lo Stato romano libe-
ramente, e da Roma, da Torino ec. mi è stato lodato da dottis-
simi preti. Quanto al correggere i luoghi ch’Ella accenna, e