1364. |
Di Adelaide Maestri. |
|
Parma 14 Settembre [1828] |
Mio caro Leopardi. Neppur io sarei stata tanto tempo senza scri-
vervi se una dolorosa circostanza non me lo avesse impedito. Appena
arrivata a Parma Ferdinando ammalò di una neurite ad un braccio con
febbre gagliarda e spasimo, e non sono che pochi giorni che può alzarsi.
Lascio pensare a Voi quale sia stata la condizione dell’animo mio. Ora
sta meglio; vi saluta caramente, e vi ringrazia con me e la mamma delle
vostre premure e dell’affetto che ci mostrate nella carissima vostra dei
4 7bre; alla quale ho tardato alcuni giorni a rispondere per aspettare
l’ordinario di jeri, sperando pure di potervi dare qualche notizia recente
e certa intorno all’affare di cui mi avete scritto. Ma tanto in questa
lettera che abbiamo ricevuta dal mio caro padre, quanto nell’altra, Egli
non ce ne parla. In quella ci avvisava solamente che partiva per Mali-
gnano, al di là di Rimino, chiamato per un consulto; in questa, la quale
ci viene appunto da Malignano, ci da ottime nuove della sua salute,
e ci dice che da Bologna, ove dovrebbe essere arrivato oggi, ci potrà
dire il giorno preciso del suo ritorno in Parma. Il suo silenzio, in que-
sto caso, e l’ottimo umore col quale ci scrive, ci fanno pensar bene.
Tuttavia se Egli non ritorna sollecitamente, noi siamo determinati di
partir tutti per Bologna. Voi mi chiedete che cosa ne pensiamo, e come
si trovi il nostro animo. Pensiamo che non avendo il papà assoluta-
mente nulla di che poter essere tacciato dal governo, la cosa dovrà finir
bene e brevemente. Del resto non saprei con quali termini esprimervi
lo stato dell’animo nostro, del quale conoscerete appieno gli affetti
se Voi, nostro amicissimo, interrogherete il vostro. Oh mio Leopardi,
in quali tempi viviamo! solamente i tristi e i malvagi possono lusin-
garsi di ottenere ogni prospera fortuna: i buoni, devono d’ora in ora
aspettarsi le persecuzioni, le tribolazioni, gli affanni. E qui ho anche
in particolare considerazione la perdita che Voi, mio buon amico faceste
di un fratello. Avrei pur voluto passare in silenzio questo doloroso avve-
nimento, che ha grandemente afflitti tutti noi, affine di non inasprire
colle mie parole la ferita dell’animo vostro, ma io temeva il sospetto
di una brutta dimenticanza. Comunichiamoci, Egregio Amico, le nostre
sventure; giacché nullo rimedio io trovo migliore di siffatta comuni-
cazione. La mia salute è buona, cosa appena credibile nelle mie circo-