Io non ho preso insegne di lutto, per evitare le innumerabili
questioni che esse mi avrebbero procurate; le quali venendomi
da persone indifferenti, sarebbero state insopportabili al mio
dolore: tanto più che il mio carattere è di chiudere nel profondo
di me stesso tutti gli affanni e le affezioni vere.
Amico carissimo,
Non voglio essere la causa del ritardo di una lettera del nostro com-
mune amico1 per il desiderio che avrei d’accompagnarla di molto più
lunga lettera che non posso arrivare a scrivere colla posta di oggi. Ho
perduto il bene di rivederla, per non essere passato per Firenze, e arri-
vato qui ho avuto il dolore di sentire che la Sua salute, sì cara alle
lettere ed ai Suoi ammiratori ed amici, non è ancora affatto ristabi-
lita. Spero che il soggiorno di Pisa le abbia fatto bene.
Stanco di ripeterle delle promesse, che peraltro mi sono fatto rin-
novare alla prima conferenza, vorrei poter lusingarmi ch’Ella non fosse
alieno di mutare il suolo d’Italia con quello del Reno. Là, a Bonna,
in un clima eguale a quello di Verona, con un inverno, dove la tempe-
ratura non iscende che raramente sotto 4" di Reaumur, quando fà
freddo, Ella sarebbe circondato e di amici dotti e di una turba stu-
diosa, desiderosa di vedere ravvivata la Cattedra di Dante al di là delle
Alpi.
Mi scriva quello che Ella ne pensa. Intanto ho rinnovato qui le pre-
mure per il Cancellierato nel Censo.
Ho portato con me bellissimi libri di filologia: anche la traduzione
inglese della Storia Romana di Niebuhr. Si parla di una italiana da
farsi a Torino; N[iebuhr] m’ha nominato un tale de Coster che gliene
ha scritto; la francese, benché affatto corretta da N[iebuhrl con infi-
nita pena, non uscirà che dopo qualche tempo. Spedirò per mezzo del
D.rc Nott l’esemplare dell’Agathias e una copia dell’avviso tipografico.
Di tutto cuore
Suo attaccatissimo amico Bunsen. |