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Io non ho preso insegne di lutto, per evitare le innumerabili questioni che esse mi avrebbero procurate; le quali venendomi da persone indifferenti, sarebbero state insopportabili al mio dolore: tanto più che il mio carattere è di chiudere nel profondo di me stesso tutti gli affanni e le affezioni vere.

1270. Di Karl Bunsen.
Roma li 5 giugno 1828

Amico carissimo, Non voglio essere la causa del ritardo di una lettera del nostro com- mune amico1 per il desiderio che avrei d’accompagnarla di molto più lunga lettera che non posso arrivare a scrivere colla posta di oggi. Ho perduto il bene di rivederla, per non essere passato per Firenze, e arri- vato qui ho avuto il dolore di sentire che la Sua salute, sì cara alle lettere ed ai Suoi ammiratori ed amici, non è ancora affatto ristabi- lita. Spero che il soggiorno di Pisa le abbia fatto bene. Stanco di ripeterle delle promesse, che peraltro mi sono fatto rin- novare alla prima conferenza, vorrei poter lusingarmi ch’Ella non fosse alieno di mutare il suolo d’Italia con quello del Reno. Là, a Bonna, in un clima eguale a quello di Verona, con un inverno, dove la tempe- ratura non iscende che raramente sotto 4" di Reaumur, quando fà freddo, Ella sarebbe circondato e di amici dotti e di una turba stu- diosa, desiderosa di vedere ravvivata la Cattedra di Dante al di là delle Alpi. Mi scriva quello che Ella ne pensa. Intanto ho rinnovato qui le pre- mure per il Cancellierato nel Censo. Ho portato con me bellissimi libri di filologia: anche la traduzione inglese della Storia Romana di Niebuhr. Si parla di una italiana da farsi a Torino; N[iebuhr] m’ha nominato un tale de Coster che gliene ha scritto; la francese, benché affatto corretta da N[iebuhrl con infi- nita pena, non uscirà che dopo qualche tempo. Spedirò per mezzo del D.rc Nott l’esemplare dell’Agathias e una copia dell’avviso tipografico. Di tutto cuore

Suo attaccatissimo
amico Bunsen.