in una città grande piuttosto che a Recanati, sarebbe per me
un nulla; sicché io partirei subito; se la riflessione e la ragione
non mi obbligassero a cercar di assicurarmi prima del frutto di
questa mia assenza, e di renderlo più stabile che si possa. Il che
fatto, io ti riabbraccerò immediatamente, e ciò sarà senza dub-
bio in breve. In verità io desidererei di far danari, ma non già
per me; bensì per poterti esser utile in qualche cosa. Questa
sarebbe la maggior consolazione, che la fortuna mi potesse dare,
e per la quale io le perdonerei volentieri tutti i malanni che mi
ha dati e mi darà. Le espressioni dell’amor tuo, se non fossero
mescolate di dolore, mi rallegrerebbero l’anima. Tu, l’amor tuo,
il pensiero di te, siete come la colonna e l’àncora della mia vita.
Ogni parte di questa si riferisce là come a un centro. E come
ho detto più volte a Giordani e a Papadopoli che intendevano
bene questa mia situazione, se io dovessi dubitare un momento
che tu non mi amassi più, o non mi fossi fedele, o potessi mai
per alcuna cagione cessare di esserlo, o vero che tu dubitassi
punto dell’amore e della fedeltà mia; insomma se quella fede
teologica, anzi quella coesistenza che noi abbiamo insieme, fosse
mai sospesa; io non sarei più quello di adesso, la mia esistenza
non avrebbe più il suo fondamento, e tutto il mondo cambie-
rebbe faccia per me in un colpo, come si cambia una scena. Salu-
tami Babbo e Mamma, Luigi e Pietruccio. Saluta Paolina, e dille
che mi scriva e che non franchi la lettera. Addio, Cariuccio mio.
Credimi che se non avessi in te quella fiducia che tu mi chiedi,
non avrei neppur forza di scrivere questa lettera, nè di aprir
gli occhi alla luce del sole.
851. |
Di Monaldo e Paolina Leopardi. |
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Mio caro Figlio
Ricevetti la cara vostra dei 20 e ringrazio il Signore perchè mi fa
sentire che state sempre meglio. Anche noi grazie al Signore stiamo
bene, e l’inverno anche qui si è andato mitigando assai.