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in una città grande piuttosto che a Recanati, sarebbe per me un nulla; sicché io partirei subito; se la riflessione e la ragione non mi obbligassero a cercar di assicurarmi prima del frutto di questa mia assenza, e di renderlo più stabile che si possa. Il che fatto, io ti riabbraccerò immediatamente, e ciò sarà senza dub- bio in breve. In verità io desidererei di far danari, ma non già per me; bensì per poterti esser utile in qualche cosa. Questa sarebbe la maggior consolazione, che la fortuna mi potesse dare, e per la quale io le perdonerei volentieri tutti i malanni che mi ha dati e mi darà. Le espressioni dell’amor tuo, se non fossero mescolate di dolore, mi rallegrerebbero l’anima. Tu, l’amor tuo, il pensiero di te, siete come la colonna e l’àncora della mia vita. Ogni parte di questa si riferisce là come a un centro. E come ho detto più volte a Giordani e a Papadopoli che intendevano bene questa mia situazione, se io dovessi dubitare un momento che tu non mi amassi più, o non mi fossi fedele, o potessi mai per alcuna cagione cessare di esserlo, o vero che tu dubitassi punto dell’amore e della fedeltà mia; insomma se quella fede teologica, anzi quella coesistenza che noi abbiamo insieme, fosse mai sospesa; io non sarei più quello di adesso, la mia esistenza non avrebbe più il suo fondamento, e tutto il mondo cambie- rebbe faccia per me in un colpo, come si cambia una scena. Salu- tami Babbo e Mamma, Luigi e Pietruccio. Saluta Paolina, e dille che mi scriva e che non franchi la lettera. Addio, Cariuccio mio. Credimi che se non avessi in te quella fiducia che tu mi chiedi, non avrei neppur forza di scrivere questa lettera, nè di aprir gli occhi alla luce del sole.

851. Di Monaldo e Paolina Leopardi.
Recanati 26 Feb." 1826.

Mio caro Figlio Ricevetti la cara vostra dei 20 e ringrazio il Signore perchè mi fa sentire che state sempre meglio. Anche noi grazie al Signore stiamo bene, e l’inverno anche qui si è andato mitigando assai.