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ch’era giá irreparabilmente abolita e distrutta quanto al fatto, sapendo bene (come ho detto) che il mondo non si può rinnovare ; ma da vero filosofo insegnai quella regola di governare e di vivere ch’era sottentrata alla morale per sempre, che s’usava realmente, e che realmente e unicamente poteva giovare e giovava a chi l’avesse imparata. E in questo solo mancai al mio proposito di nuocere e di tradire. Perocché facendo professione di scrittore, (e quindi di maestro de’ lettori e della vita), non ingannai gli uomini considerati come miei discepoli, e promettendo loro di ammaestrarli, non li feci piú rozzi e stolti di prima, non insegnai loro cose che poi dovessero disimparare: e in somma professando come scrittore didascalico, di mirare all’utilitá de’ lettori, non diedi loro precetti dannosi o falsi, ma spiegai loro distintamente e chiaramente l’arte vera ed utile; istituendo non quanto al fatto, ma quanto all’osservazione de’fatti, eh’è proprio debito del filosofo, e quanto alle dottrine che ne derivano, una nuova scuola o filosofia da sostituire alla tua socratica, sua contraria, e da durare e giovare (per quel ch’io mi pensi) assai piú di lei, e d’ogni altra, e forse mentre gli uomini saranno uomini, cioè diavoli in carne. E dove gli altri filosofi, senza odiar gli uomini quanto me, cercano pure di nuocer loro effettivamente co’ loro precetti, io effettivamente giovai, giovo, e gioverò sempre a chiunque voglia e sappia praticare i miei. Cosi che il misantropo ch’io era, feci un’opera piú utile agli uomini (chi voglia ben considerare) di quante mai n’abbia prodotte la piú squisita filantropia, o qualunque altra qualitá umana, come io mi rimetto all’esperienza di chiunque saprá mettere, o avrá mai saputo mettere in opera l’istruzione ricevuta dal mio libro. E io non poteva far cosa piú contraria al mio istituto di quella ch’io feci: come non avrei potuto far cosa piú conforme al medesimo, che scrivendo precetti sull’andare del tuo libro che passi per filantropo. Tanto è vero quello ch’io ti dissi poco innanzi, che, non ostante il mio rinnegamento degli antichi principi umani e virtuosi, fui costretto di conservare perpetuamente una non so se affezione o inclinazione e simpatia interna verso loro. (13 giugno 1822).