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304 operette morali

E ad Anacreonte: Ode 20: Ἡ Ταντάλου ποτ´ ἔστη.

In quelle farragini di Disegni letterari notati alla rinfusa di cui non è quasi possibile determinar date c’è un: «Bellezze ecc. della Storia naturale, de’ quadrupedi ecc.». Deve esser posteriore al 1824, perché reca anche un «Commento o riflessioni sopra diversi luoghi di diversi autori sull’andare di quelle ch’io fo in un capitolo dell’Ottonieri. Nello Zibaldone c’è solo:

8 luglio 1820, p. 159 (I, 266):

Osservate ancora un finissimo magistero della natura. Gli uccelli ha voluto che fossero per natura loro i cantori della terra; e, come ha posto i fiori per diletto dell’odorato, cosí gli uccelli per diletto dell’udito. Ora, perché la loro voce fosse bene intesa che cosa ha fatto? Gli ha resi volatili, acciocché il loro canto, venendo dall’alto si spargesse molto in largo. Questa combinazione del volo e canto non è certamente accidentale. E perciò la voce degli uccelli reca a noi piú diletto che quella degli altri animali, fuorché l’uomo, perché era espressamente ordinata al diletto dell’udito.

E credo che ne rechi anche piú agli altri animali, che sono in uno stato naturale, e forse perciò piú capaci di trovarci tutta o in parte quell’armonia che ci trovano gli stessi uccelli e che noi non ci troviamo, perché, allontanandoci dalla natura, abbiamo perduto certe idee primitive intorno alla convenienza, non assolute e necessarie, ma tuttavia dateci forse arbitrariamente dalla natura. Io credo che i selvaggi trovino il canto degli uccelli molto piú dolce; e mi pare che si potrebbe provar lo stesso degli antichi, i quali è noto che sentivano maggior diletto di noi nel canto delle cicale ecc., delle quali pure, e simili, si può notare che cantano sopra gli alberi.

E ancora il 16 settembre 1821, Z. 1716 (III, 328):

Lo svelto non è che vivacitá. Ella piace... dunque anche la sveltezza. Cosí che il piacere che l’uomo prova ordinariamente alla vista degli uccelli (esempi di vivezza e sveltezza) massime se li contempla da vicino, tiene alle piú intime inclinazioni e qualitá della natura umana, cioè l’inclinazione alla vita.

E il giorno dopo aggiungeva, Z. 1725 (III, 333):

Cosí dico della prontezza del corpo che dello spirito, de’ discorsi ecc., della mobilitá e di altre tali qualitá umane o qualunque, che sono piacevoli per sé, per natura delle cose; piacevoli