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mercenari, combatterono, ma furon vinti. E però da questa sola diversitá delle due ordinanze, da cui si poteva arguire l’infinita differenza fra gli animi dei due eserciti, era da congetturare quello che avvenne.

Z. 29 (I, 120):

Chi mi chiedesse qual sia, secondo me, il piú eloquente pezzo italiano, direi le due canzoni del Petrarca: Spirto gentil e Italia mia. Se concedessi qualche cosa al Tasso [direi] ch’era in veritá eloquente, e principalmente parlando di se stesso, ed, eccetto il Petrarca, è il solo italiano veramente eloquente. La sventura in gran parte lo fece tale, e l’occorrergli spessissimo di difendersi, ecc. e in qualunque modo parlar di sé; perch’io sosterrò sempre che gli uomini grandi, quando parlan di sé, diventano maggiori di se stessi, e i piccoli diventano quache cosa, essendo questo un campo dove le passioni e l’interesse e la profonda cognizione ecc. non lasciano campo all’affettazione e alla sofisticheria, cioè alla massima corrompitrice dell’eloquenza e della poesia; non potendosi cercare i luoghi comuni quando si parla di cosa propria, dove necessariamente detta la natura ed il cuore, e dove si parla di vena e di pienezza di cuore. Onde quello che si dice dell’utilitá derivante agli scrittori dal trattare materie presenti, a miglior dritto si dèe dire del parlare di se stesso, comunque paia a prima vista che il parlar di sé non debba interessare gran fatto gli uditori; cosa falsissima; e si veda nel migliore e piú celebre pezzo del Bossuet, quello in fine all’orazione di Condé, che effetto fa l’introduzione di se stesso. Al quale pezzo io paragono quello di Cicerone nella Miloniana (che è forse la sua migliore orazione, come questo è forse il piú gran pezzo di essa) il quale si combina parimente che è nel fine, dove, per intenerire i giudici, introduce menzione di se stesso; e mi pare che faccia un effetto incredibile, come e piú di quello che fa il Bossuet; tanto può l’introdurre se stesso nei discorsi eloquenti, al contrario di quello che si crede.

Z. 58 (I 178):

Una facezia del genere ch’io ho detto in un altro pensiero è quella degli Antiocheni, che dicevano dell’imperatore Giuliano, che aveva una barba da farne corde (Iulianus in Misopogone); la qual facezia, allora applaudita e sparsa per tutta la cittá e