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appendice 285

ch’ella sia piú radicata, più abituale, piú continua, piú intera, piú perfetta, piú reale ch’ella non è mai stata effettivamente in alcun filosofo, questa medesima disposizione, dico, giá pienamente acquistata, ed anche, per lungo abito, posseduta, non è ella sempre suddita della fortuna? Non si sono mai veduti de’ vecchi ritornar fanciulli di mente, per infermitá o per altre cagioni, l’effetto delle quali non fu in balia di coloro l’impedire o l’evitare? La memoria, l’intelletto, tutte le facoltá dell’animo nostro non sono in mano della fortuna, come ogni altra cosa che ci appartenga? Non è in sua mano l’alterarle, l’indebolirle, lo stravolgerle, l’estinguerle? La nostra medesima ragione non è tutta quanta in balia della fortuna? Può nessuno assicurarsi o vantarsi di non aver mai a perder l’uso della ragione, o per sempre o temporaneamente, o per disorganizzazione del cervello, o per accesso di sangue o di umori al capo, o per gagliardia di febbre, o per ispossamento straordinario di corpo che induca il delirio o passeggero o perpetuo? Non sono infiniti gli accidenti esteriori imprevedibili o inevitabili che influiscono sulle facoltá dell’animo nostro, siccome su quelle del corpo? E di questi, altri che accadono ed operano in un punto o in poco tempo, come una percossa al capo, un terrore improvviso, una malattia acuta; altri a poco a poco e lentamente, come la vecchiezza, l’indebolimento del corpo, e tutte le malattie lunghe e preparate o incominciate giá da gran tempo dalla natura, ecc. Perduta o indebolita la memoria, non è indebolita o perduta la scienza, e quindi l’uso e l’utilitá di essa, e quindi quella disposizion d’animo che n’è il frutto, e di cui ragionavamo? Ora qual facoltá dell’animo umano è piú labile, piú facile a logorarsi, anzi piú sicura d’andar col tempo a indebolirsi od estinguersi, anzi piú continuamente, inevitabilmente e visibilmente logorantesi in ciascuno individuo che la memoria? Insomma, se il nostro corpo è tutto in mano della fortuna, e soggetto per ogni parte all’azion delle cose esteriori, temeraria cosa è il dire che l’animo, il quale è tutto e sempre soggetto al corpo, possa essere indipendente dalle cose esteriori e dalla fortuna. Conchiudo che quello stesso perfetto sapiente, quale lo volevano gli antichi, quale mai non esistette, quale non può essere se non immaginario, tale ancora sarebbe interamente suddito della fortuna, perché in mano di essa fortuna sarebbe interamente quella stessa ragione sulla quale egli fonderebbe la sua indipendenza dalla fortuna medesima.