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elogio degli uccelli 153


fierissimo accidente, altri in grande tristezza d’animo, altri che quasi non serbano alcuno amore alla vita, certissimi della vanitá di ogni bene umano, presso che incapaci di ogni gioia, e privi di ogni speranza, nondimeno ridere. Anzi, quanto conoscono meglio la vanitá dei predetti beni, e l’infelicitá della vita; e quanto meno sperano, e meno eziandio sono atti a godere, tanto maggiormente sogliono i particolari uomini essere inclinati al riso. La natura del quale generalmente, e gl’intimi principi e modi, in quanto si è a quella parte che consiste nell’animo, appena si potrebbero definire e spiegare; se non se forse dicendo che il riso è specie di pazzia non durabile, o pure di vaneggiamento e delirio. Perciocché gli uomini non essendo mai soddisfatti né mai dilettati veramente da cosa alcuna, non possono aver causa di riso che sia ragionevole e giusta. Eziandio sarebbe curioso a cercare donde, e in quale occasione piú verisimilmente, l’uomo fosse recato la prima volta a usare e a conoscere questa sua potenza. Imperocché non è dubbio che esso nello stato primitivo e selvaggio, si dimostra per lo piú serio, come fanno gli altri animali; anzi alla vista malinconico. Onde io sono di opinione che il riso, non solo apparisse al mondo dopo il pianto, della qual cosa non si può fare controversia veruna, ma che penasse un buono spazio di tempo a essere sperimentato e veduto primieramente. Nel qual tempo, né la madre sorridesse al bambino, né questo riconoscesse lei col sorriso, come dice Virgilio. Che se oggi, almeno dove la gente è ridotta a vita civile, incominciano gli uomini a ridere poco dopo nati; fannolo principalmente in virtú dell’esempio, perché veggono altri che ridono. E crederei che la prima occasione e la prima causa di ridere, fosse stata agli uomini la ubbriachezza; altro effetto proprio e particolare al genere umano. Questa ebbe origine lungo tempo innanzi che gli uomini fossero venuti ad alcuna specie di civiltá; poiché sappiamo che quasi non si ritrova popolo cosí rozzo, che non abbia provveduto di qualche bevanda o di qualche altro modo da inebbriarsi, e non lo soglia usare cupidamente. Delle quali cose non è da maravigliare;