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detti memorabili di f. ottonieri - cap vii 143


dove parla molto di se stesso, e quasi sempre eloquentissimo nelle lettere, dove non ragiona, si può dire, se non de’ suoi propri casi.

capitolo settimo.

Si ricordano anche parecchi suoi motti e risposte argute: come fu quella ch’ei diede a un giovanetto, molto studioso delle lettere, ma poco esperto del mondo; il quale diceva che dell’arte del governarsi nella vita sociale, e della cognizione pratica degli uomini, s’imparano cento fogli il dí. Rispose l’Ottonieri: — Ma il libro fa cinque milioni di fogli. —

A un altro giovane inconsiderato e temerario, il quale per ischermirsi da quelli che gli rimproveravano le male riuscite che faceva giornalmente, e gli scorni che riportava, era usato rispondere che della vita non è da fare piú stima che di una commedia; disse una volta l’Ottonieri: — Anche nella commedia è meglio riportare applausí che fischiate; e il commediante male instrutto nell’arte sua, o mal destro in esercitarla, all’ultimo si muore di fame. —

Preso dai sergenti della corte un ribaldo omicida, il quale per essere zoppo, commesso il misfatto, non era potuto fuggire, disse; — Vedete, amici, che la giustizia, se bene si dice che sia zoppa, raggiunge però il malfattore, se egli è zoppo. —

Viaggiando per l’Italia, essendogli detto, non so dove, da un cortigiano che lo voleva mordere; — Io ti parlerò schiettamente, se tu me ne dai licenza; — rispose: — Anzi avrò caro assai di ascoltarti; perché viaggiando si cercano le cose rare. —

Costretto da non so quale necessitá una volta, a chiedere danari in prestanza a uno: il quale scusandosi di non potergliene dare, concluse affermando, che se fosse stato ricco, non avrebbe avuto maggior pensiero che delle occorrenze degli amici; esso replicò: — Mi rincrescerebbe assai che tu stessi in pensiero per causa nostra. Prego Dio che non ti faccia mai ricco. —