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che, se anche fu mai persona che cogli altri vivesse da vero e perfetto filosofo, nessuno visse né vive in tal modo seco medesimo; e che tanto è possibile non curarsi delle cose proprie piú che delle altrui, quanto curarsi delle altrui come fossero proprie. Ma dato che quella disposizione d’animo che dicono questi filosofi, non solo fosse possibile, che non è, ma si trovasse qui vera ed attuale in uno di noi; vi fosse anche piú perfetta che essi non dicono, confermata e connaturata da uso lunghissimo, sperimentata in mille casi; forse perciò la beatitudine e l’infelicitá di questo tale, non sarebbero in potere della fortuna? Non soggiacerebbe alla fortuna quella stessa disposizione d’animo, che questi presumono che ce ne debba sottrarre? La ragione dell’uomo non è sottoposta tutto giorno a infiniti accidenti? Innumerabili morbi che recano stupiditá, delirio, frenesia, furore, scempiaggine, cento altri generi di pazzia breve o durevole, temporale o perpetua; non la possono turbare, debilitare, stravolgere, estinguere? La memoria, conservatrice della sapienza, non si va sempre logorando e scemando dalla giovinezza in giú? Quanti nella vecchiaia diventano fanciulli di mente! e quasi tutti perdono il vigore dello spirito in quella etá. Come eziandio per qualunque mala disposizione del corpo, anco salva ed intera ogni facoltá dell’intelletto e della memoria, il coraggio e la costanza sogliono, quando piú quando meno, languire, e non di rado si spengono. In fine, è grande stoltezza confessare che il nostro corpo è soggetto alle cose che non sono in facoltá nostra, e contuttociò negare che l’animo, il quale dipende dal corpo quasi in tutto, soggiaccia necessariamente a cosa alcuna fuori che a noi medesimi. — E conchiudeva che l’uomo tutto intero, e sempre e irrepugnabilmente, è in podestá della fortuna.

Dimandato a che nascano gli uomini, rispose per ischerzo; A conoscere quanto sia piú spediente il non essere nato.