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xxxviii commentario

che de’ suoi concittadini non ebbe mai troppo a lodarsi, trovò da Leone X in Roma quell’accoglienza che da Lorenzo il Magnifico aveva avuta il giovane Leonardo, e poi dal Soderini l’idraulico che aveva diretti i lavori dei navigli, il pittore che aveva dipinta la Cena. Narra il Vasari che, essendogli allogata un’opera dal papa, Leonardo subito cominciò a stillare olii ed erbe per far la vernice; e che il papa, ciò risapendo, dicesse: Oimè! costui non è per far nulla, da che comincia a pensare alla fine innanzi al principio dell’opera. Del che sdegnatosi Leonardo, tanto più che sapeva essere stato chiamato a Roma il Buonarroti, che non gli era amico, se ne partì. I prosperi successi dei Francesi in Lombardia richiamarono ben presto Leonardo, il quale tutte le sue speranze aveva poste nella corte di Francia e vedeva volentieri gli alti principî del successore di Lodovico.1 A lui che trionfava a Pavia presentò il leone che si fece dinanzi e gli mostrò il petto aperto pieno di gigli; lui seguì a Bologna al congresso con Leone X, di cui forse rammentò allora con compiacenza il superbo dispetto, vedendolo vinto e costretto a cercar pace; lui seguì in Francia nel 1515, quantunque già grave di anni e logoro dalle fatiche; e se non spirò tra le braccia di lui,2 come narra il Vasari e come fu creduto per quasi tre secoli, non è meno vero che l’ospitalità e gli onori ricevuti alla corte di Francia gli fecero men grave il morire in terra straniera. Così Francesco I meritò, se non ebbe comune coi discepoli di Leonardo, l’onore di raccorre l’ultimo sospiro di quel grande e di sostener con le proprie braccia il capo stanco ed onorato.

Quello che sappiamo dei primi studi del giovane Leonardo si può dedurre quasi interamente da alcuni suoi frammenti manoscritti, dove parla di sè e delle controversie che gli mossero i dotti di allora. Nato in un secolo di eruditi, pei quali tutto ciò che era antico era buono, tutto ciò che gli antichi filosofi, e il primo di loro Aristotile, aveano asserito sulle cose naturali, era vero; cominciò ben presto a mostrar poco rispetto per questa erudizione, che avrebbe voluto rifar la natura, perchè obbedisse ai precetti dei sistemi filosofici allora accettati; e chiamò questa razza di filosofi trombetti e recitatori delle opere altrui. Ma più che con le parole mostrò con gli studi di non volerli tenere in conto veruno; poichè nelle sue opere non cita mai gli autori dai quali ha tratta la cognizione dei fenomeni naturali che va descrivendo; anzi protesta di non conoscerli e di avere osservato da sè.3

«Se bene come loro non sapessi allegare li autori, molto maggiore e più degna cosa allegherò allegando l’esperienza maestra ai loro maestri. Costoro vanno schonfiati e pomposi, vestiti e ornati non delle loro, ma delle altrui fatiche, e le mie a me medesimo non concedono. Me inventore disprezzano; quanto maggiormente loro non inventori, ma trombetti e recitatori delle opere altrui dovranno essere biasimati?»

«Proemio.


«È da essere giudicati e non altramente stimati li omini inventori e interpetri tra la natura e gli omini, a comparatione dei recitatori e trombetti delle altrui opere, quanto è dall’obietto fori dello specchio alla similitudine dell’obietto apparente nello specchio che lui non per se.... niente; giente poco obbligati alla natura, perchè sono d’accidental vestiti, e senza il quale potrei accompagnarli infra gli armenti delle bestie».

Nè dobbiamo credere per questo che di tutti gli antichi maestri facesse ugual conto che degli eruditi loro commentatori, poichè negli studi severi della geometria e della meccanica volle apprendere da giovinetto tutto ciò che si sapeva; e dove non gli bastavano i maestri, che spesso confondeva con le sue domande e abbandonava ben presto, soccorreva col proprio ingegno. Primo fra i moderni, riprese le ricerche di Archimede sul centro di gravità delle figure e sull’equilibrio dei fluidi; incominciando di là dove l’antico geometra aveva finito; disegnando macchine mosse dall’acqua, dall’aria, dal vapore, tra le quali rammenteremo soltanto l’idea di applicare il pendolo alla misura del tempo4

  1. Battaglia di Marignano, 10 di settembre 1515.
  2. Il 2 di maggio dell’anno 1519, a Cloux presso Amboise.
  3. Libri, Histoire des sciences mathématiques en Italie, t. III, pag. 58; nota xxi, pag. 258.
  4. Venturi, Essai, ecc., cit.