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d’uopo avere delle prove ulteriori, le quali direttamente accusassero il Fausti, ed indirettamente dimostrassero

    anni; e l’altro per dieci giorni circa. — L’aver dato occulto ricetto all’epoca della partenza da Roma del Santo Padre a distinti personaggi che ha nominati, sino a che potessero assicurarsi della vita, e decidersi al partilo da prendere. — L’essersi adoperato ed aver posto in salvo in detta epoca, e sulla mezza notte circa, gli archivi, carte e mobilia che spettavano alla Santa Visita, e che si custodivano nella Casa del Gesù, e per collocare il tutto ristringesse la propria famiglia, e cedesse cinque Camere alla Segreteria della Visita, quali quantunque sieno state ritenute per cinque anni, pure ne pagasse sempre la pigione: senza entrarvi, e senza farne alcuno uso, senza averne chiesto ed ottenuto compenso, ne averne avuto alcun ringraziamento. — Che, richiesto da un impiegato della Segreteria del Ministero delle Finanze, sul che da fare, per la necessità che aveva di aderire a quella forma di Governo, si facesse a rispondergli: — «È difficile di dar consigli in tali frangenti: posso però dir cosa farei se a tali ristrettezze mi dovessi trovare anch’io. Preferirò di andare sulla strada a chieder pane per la famiglia, piuttosto che tradire il mio Sovrano.» — L’aver subito pure in quell’epoca un rigoroso perquiratur, l’aver potuti salvare molti oggetti di valore, proprietà d’insigni personaggi. — L’essere stato obbligato con le più severe minaccia a dare tutta la moneta che possedeva contro carta monetata della Repubblica alla pari, quantunque allora si cambiasse non più che al quarantacinque per cento. — L’aver senza alcuna esitazione deposto il grado di Tenente del nono Battaglione che aveva, pubblicata appena la Costituente, e ciò subito venuto a cognizione dell’Editto relativo alle Censure Ecclesiastiche.
          E per dar prova anche più positiva di ciò che egli fosse, narrando di un pacco di libri portato per equivoco in sua casa da un vetturale, disse: — Che, essendo esso ignaro di questa spedizione, sfilasse un libercolo per vedere di che si trattava, ed accortosi, od almeno supposto, che fosse un’opera del Passaglia, si recasse subito da Monsignor Direttore Generale di Polizia portando con sè questa copia. Che, raccontato il fatto accadutogli, e replicatosi dalla 1odata Eccellenza Sua che gli avesse permesso demandare nella di lui casa un agente di polizia, dovendo sicuramente farvi ritorno il vetturale, sommessamente avesse a rispondere: «Monsignor no, lasci fare a me, che farò io quello che potrebbe fare l’agente di Polizia: le do la mia parola d’onore.» Al che replicasse l’Autorità suindicata di fidarsi pienamente di lui. Che dopo due giorni, circa le 7 1|2 del mattino, tornasse il vetturale a richiedere i libercoli, che disse per equivoco aver ivi lasciato, mentre invece aven per esso due sacchi di seme di fieno, e restituitigli i dodici paoli consegnati per la vettura, riprendesti la balla. Che lo facesse allora esso inquisito seguire alla lontana, espiando i suoi passi;