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D’AMORE CAP. II. 275

Trassimi a que’ tre spirti che ristretti
     Eran già per seguire altro cammino,
     105E dissi al primo: - I’ prego che t’aspetti. -
Et egli al suon del ragionar latino,
     Turbato in vista, si rattenne un poco;
     E poi, del mio voler quasi indivino,
Disse: - Io Seleuco son, questi è Antïoco
     110Mio figlio, che gran guerra ebbe con voi;
     Ma ragion contra forza non ha loco.
Questa, mia in prima, sua donna fu poi,
     Ché per scamparlo d’amorosa morte
     Gliel diedi, e ’l don fu lecito tra noi.
115Stratonica è ’l suo nome, e nostra sorte,
     Come vedi, indivisa; e per tal segno
     Si vede il nostro amor tenace e forte,
Ch’è contenta costei lasciarme il regno,
     Io il mio diletto, e questi la sua vita,
     120Per far, vie più che sé, l’un l’altro degno.
E se non fosse la discreta aita
     Del fisico gentil, che ben s’accorse,
     L’età sua in sul fiorir era finita.
Tacendo, amando, quasi a morte corse,
     125E l’amar forza, e ’l tacer fu virtute;
     La mia, vera pietà, ch’a lui soccorse. -
Così disse; e come uom che voler mute,
     Col fin de le parole i passi volse,
     Ch’a pena gli potei render salute.
130Poi che dagli occhi miei l’ombra si tolse,
     Rimasi grave e sospirando andai,
     Ché ’l mio cor dal suo dir non si disciolse
Infin che mi fu detto: - Troppo stai
     In un penser a le cose diverse;
     135E ’l tempo ch’è brevissimo ben sai. -
Non menò tanti armati in Grecia Serse
     Quant’ivi erano amanti ignudi e presi,
     Tal che l’occhio la vista non sofferse,