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SONETTO CCCIX.


D
Icemi spesso il mio fidato speglio,

     L’animo stanco, et la cangiata scorza,
     Et la scemata mia destrezza et forza:
     4- Non ti nasconder più: tu se’ pur vèglio.
Obedir a Natura in tutto è il meglio,
     Ch’a contender con lei il tempo ne sforza. Sùbito allor, com’acqua ’l foco amorza,
     8D’un lungo et grave sonno mi risveglio:
Et veggio ben che ’l nostro viver vola
     Et ch’esser non si pò più d’una volta;
     11E ’n mezzo ’l cor mi sona una parola
Di lei ch’è or dal suo bel nodo sciolta,
     Ma ne’ suoi giorni al mondo fu sì sola,
     14Ch’a tutte, s’i’ non erro, fama à tolta.


SONETTO CCCX.


V
olo con l’ali de’ pensieri al cielo

     Sí spesse volte che quasi un di loro
     Esser mi par ch’àn ivi il suo thesoro,
     4Lasciando in terra lo squarciato velo.
Talor mi trema ’l cor d’un dolce gelo
     Udendo lei per ch’io mi discoloro
     Dirmi: - Amico, or t’am’io et or t’onoro
     8Perch’à i costumi varïati, e ’l pelo. Menami al suo Signor: allor m’inchino,
     Pregando humilemente che consenta
     11Ch’i’ stia a veder et l’uno et l’altro volto.
Responde: - Egli è ben fermo il tuo destino;
     Et per tardar anchor vent’anni o trenta,
     14Parrà a te troppo, et non fia però molto.