Pagina:Le rime di M. Francesco Petrarca I.djvu/128


PARTE 45

     Sì, che la neghittosa esca del fango.
     I'; che dì e notte del suo strazio piango;
     25Di mia speranza ho in te la maggior parte:
     Che se 'l popol di Marte
     Devesse al proprio onor'alzar mai gli occhi;
     Parmi pur ch'a' tuoi dì la gratia tocchi.
L'antiche mura ch'anchor teme ed ama,
     30E trema 'l mondo, quando si rimembra
     Del tempo andato, e 'ndietro si rivolve;
     E i sassi dove fur chiuse le membra
     Di tai che non saranno senza fama
     Se l'universo pria non si dissolve;
     35E tutto quel ch'una ruina involve,
     Per te spera saldar ogni suo vizio.
     O grandi Scipioni, o fedel Bruto,
     Quanto v'aggrada, s'egli è ancor venuto
     Romor laggiù del ben locato offizio!
     40Come cre', che Fabbrizio
     Si faccia lieto, udendo la novella!
     E dice, Roma mia sarà ancor bella.
E se cosa di qua nel ciel si cura;
     L'anime che lassù son cittadine,
     45Ed hanno i corpi abbandonati in terra;
     Del lungo odio civil ti pregan fine,
     Per cui la gente ben non s'assicura;
     Onde 'l cammin' a' lor tetti si serra;
     Che fur già sì devoti, ed ora in guerra
     50Quasi spelunca di ladron' son fatti,
     Tal, ch'a' buon' solamente uscio si chiude;
     E tra gli altari, e tra le statue ignude
     Ogn'impresa crudel par che se tratti,
     Deh quanto diversi atti!
     55Nè senza squille s'incomincia assalto,
     Che per Dio ringraziar fur poste in alto.
Le donne lagrimose, e 'l vulgo inerme
     Della tenera etate, e i vecchi stanchi;


C'han-