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«In quel frattempo cercavasi di Gharib; se ne trovò la sciabola vicino al trono, ma in nessuna parte se ne potè scoprire le orme. Percorsero i due fedeli geni tutti i quartieri della città ed i giardini da’ quali è circondala, ma non poterono ricavare notizia veruna del re, talchè infine rinunziarono alle indagini. Tutti vestirono allora a lutto, ed il dolore fu universale. Ma vediamo qual fosse frattanto la sorte di Gharib. Era stato chiuso in una cassa e gettato nell’Oxo; fu per cinque giorni intieri trascinato dalla corrente, e infine giunse al mare, dove avendo il nepente perduto la sua forza, egli riaprì gli occhi, e si vide fra l’onde che agitavano la cassa galleggiante. In mezzo al mare, sclamò: — Dio è grande! non v’ha forza e potere che in Dio onnipossente!» «Ringraziato il Signore della sua salvezza, scorse solcare i marosi un vascello dal quale veduto anch’egli, fu preso a bordo, e gli si prodigarono tutte le cure necessarie. — Chi siete?» domandò Gharih ai marinai. — Apparteniamo,» risposero, «alla nazione de’ Kargi ed adoriamo un idolo chiamato Mirkasce. — Come! cani che siete,» gridò egli, «onorate un idolo, e non adorate il Dio potente, creatore di tutte le cose, il Dio che dice: Sia! ed è!» Montarono coloro nelle furie ad un simile discorso e gli si gettarono addosso per farlo in pezzi, ed egli non avendo armi per difendersi, cosa poteva fare contro quaranta? Lo legarono quindi, determinati di sacrificarlo nel tornare alla loro città. Era stata questa fabbricata da un antico Amalecita, e l’architetto aveva ad ogni porta collocata una statua di bronzo, specie di talismano che mandava un suono romoroso ogni qualvolta entrava nella città uno straniero, rumore che doveva avvertire gli abitanti, i quali, impadronendosi del forastiere, lo trucidavano se non abbracciava la loro religione. Tali statue di