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guirono sin nel deserto, e di dugentomifa avversari, cinquantamila Amaleciti appena salvarono la vita.

«I due maredi, riportata la vittoria in tal guisa, dissero ai credenti: — Il re Gharib e suo fratello Sebmalleil vi salutano; essi stanno bene, e trovansi appo Merasce, re de’ geni. — Dio vi ricompensi di tal felice nuova,» dissero i credenti; «siete spiriti benefici.» I maredi tornarono al loro re, e gli resero conto della riportata vittoria, di cui Merasce e gli ospiti provarono grande allegrezza. — Bisogna,» disse il re ai due fratelli, «che vi faccia conoscere i miei stati, e vi mostri la città di Yafet, figlio di Noè.» Fatti condurre due corsieri per Gharib e Sehmalleil, montò a cavallo anch’egli, seguito dalla sua guardia consueta composta di mille maredi, e giunsero in breve alla città di Yafet, i cui abitanti d’ogni età vennero loro incontro per accrescere la solennità dell’ingresso. Smontati al palazzo di Yafet, Merasce salì sur un trono d’avorio, sostenuto da colonne d’oro coperte di tappeti di seta, e disse: — Popolo di Yafet, figlio di Noè! che cos’hanno adorato i padri e gli avi vostri? — Noi sappiamo,» risposero; «siamo adoratori del fuoco, e vogliamo conservarne il culto, a meno che non ce ne facciate conoscere uno migliore. — Popolo,» riprese Merasce, «ho riconosciuto che il fuoco è una creatura ed opera del Dio unico che ha tutto creato, del Dio vendicatore, creatore del dolo e della terra, del giorno e della notte, che vede tutto, e cui nessuno vede. Ho abbracciato la vera fede, e vi consiglio di seguire il mio esempio, per evitare le pene in questo mondo ed i supplizi eterni nell’altro.» Allora professarono tutti di cuore e di bocca l’islamismo. Merasce prese poi Gharib per mano, onde mostrargli gli appartamenti del palazzo. Avendo il giovane scorta in una sala una sciabola coll’impugnatura d’oro, chiese a chi appar-