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mo Tahabil,» rispose l’angelo; «sono incaricato di regolare il corso del giorno e della notte, e questa tavola è il mio giornale.» Belukia spalancò gli occhi per considerare l’astronomo celeste, poi continuando la sua strada, giunse in una magnifica prateria, inaffiata da sette ruscelli, ed in mezzo alla quale sorgeva un albero di prodigiosa altezza, sotto cui riposavano quattro geni: uno in figura d’uomo, l’altro in quella d’un lione, il terzo rassomigliava ad un toro, il quarto ad un uccello. Egli si avvicinò per ascoltare le parole che mormoravano, ed udì questa prece; — O mio Dio e mio Signore,» diceva l’uno, «ti supplico per la tua misericordia e l’intercessione di Maometto, perdona alle tue creature i loro peccati!» E Belukia prosegui il suo cammino sino alla montagna di Kaf.

«Il primo oggetto che ne colpì gli sguardi fu un angelo che cantava le lodi di Dio e di Maometto, ed aprivate chiudeva a vicenda la mano. Belukia cominciò il colloquio con quell’angelo, e raccontatagli la sua storia, gli domandò ei pure che cosa facesse su quella montagna, e che significasse il giuoco delle sue dita. — Questa,» rispose l’angelo, «è la montagna di Kaf, che come una cintura cinge tutta la terra. Tengo in mano le fila ove stanno sospesi i fondamenti della terra medesima, che viene agitata o riposa sulla sua base secondo che, dietro l’ordine di Dio, io apro o chiudo la mano. — Non vi sono ancora,» disse Belukia, «altre terre dietro la montagna di Kaf? — Sì,» l’angelo rispose, «v’è una terra risplendente come l’argento, ed unica occupazione degli angeli che l’abitano è di cantare inni in onore di Dio e del suo profeta. La sera d’ogni venerdì1, radunansi qui per passare la

  1. Tutti i popoli maomettani, ma soprattutto i dervis, ono-