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un’Indiana e la carnagione candida come quella di una Greca. Ella s’avanzò con pari grazia e maestà, sedè sul trono d’oro, si tolse il velo, e tutte le fanciulle che la seguivano, simili a stelle, restarono in piedi davanti a lei per servirla. Al primo desiderio esternate, imbandirono varie mense, coprendole di confetture. I piatti d’oro e d’argento comparvero in un momento da tutte le parti, ed il loro splendore era superato dal cristallo che racchiudeva i liquori, il cui brillante uguagliava quello de’ diamanti del Mogol. Alcune di quelle belle vergini sollecitavansi a servir la principessa, altre parevano disputarsi l’onore di allettarne l’udito colla musica più tenera e melodiosa, altre cantavano.»

A questo passo, Scheberazade interruppe il racconto; i primi raggi del sole erano già penetrati nell’appartamento del sultano. Questi parve desideroso di conoscere la continuazione della maravigliosa storia, e la sultana la ripigliò, all’indomani, in tali sensi:

NOTTE DLIII

— «Intanto quella regina della beltà non diceva sillaba; i vini squisiti ed il suono degli strumenti furono per qualche tempo l’unico suo diletto. Finalmente alzò i begli occhi, e volgendosi ad una vergine del suo seguito le disse con accento di voce deliziosa: — Andate subito a percorrere il giardino e se vi trovate qualche straniero, conducetelo a me davanti. —

«La fanciulla obbedì, si alzò, percorse il giardino