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mozzata la testa. Già l’esecutore aveva afferrato il lapidario, e stava per iscagliare il colpo fatale, quando entrò il gran visir, il quale, atterrito a tale spettacolo, avvicinatosi al sultano, lo supplicò a sospendere l’ordine crudele. — Sire,» soggiunse, «prima di punire quest’uomo, fate spezzare la pietra: se racchiude una paglia, avrà detta la verità; ma se è senza alcun difetto, allora perisca l’impostore.» Arresosi il sultano al consiglio del visir, tagliò egli stesso in due con un colpo della sciabola la gemma, e con gran maraviglia vide, nel suo centro, una paglia. — Come facesti a scoprire il difetto di questa pietra?» chiese all’avventuriere. — Colla penetrazione della mia vista,» rispose colui. Il sultano, maravigliato, lo fe’ ricondurre presso i compagni, ordinando che al suo pasto si aggiungesse un secondo piatto ed altri due pani.

«Alcun tempo dopo fu mandato al sultano, da una delle sue province, un tributo, di cui un bello stallone, più nero della notte, formava parte. Non era ancor rinvenuto dall’ammirazione che quel prezioso animale cagionavagli, quando gli venne in mente l’uomo spacciatosi qual genealogista di cavalli, lo fece chiamare. — Tu t’intendi di cavalli?» gli disse. — Sì, sire. — Sta bene! ma giuro per Colui che mi costituì custode de’ suoi sudditi, ed il quale con una parola creò l’universo, che, se non dici la verità, ti farò tagliare il capo. — Sire, mi sottopongo a tutto.» Il cavallo fu presentato all’avventuriere, il quale, senza parer molto inquieto, volle che lo si montasse in sua presenza, facendolo andar di passo. Durante tutto quel tempo, l’ardente animale dimenava la testa e s’impennava. — Basta così,» gridò il genealogista. «Sire,» disse poi, volgendosi al sultano, «quel cavallo è di rara bellezza, e sarebbe perfetto se non avesse un unico di-