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Scheherazade non disse altro, vedendo albeggiare; e l’indomani ripigliò di tal modo il racconto:


NOTTE LXXXVIII


— «Presa la lettera del re di Serendib,» continuò Sindbad, «andai a presentarmi alla porta del Commendatore de’ credenti, seguito dalla bella schiava e dalle persone della mia famiglia, che portavano i donativi testè descritti; ed esposto il soggetto che mi conduceva, fui introdotto immediatamente presso il califfo. Lo riverii prostrandomi, e dopo una concisa arringa, gli presentai la lettera ed il regalo. Quand’ebbe letto ciò che, scriveva il re di Serendib, mi domandò s’era vero che quel principe fosse tanto potente e ricco come nella lettera accennava. Mi prosternai una seconda volta, e rialzatomi: — Commendatore de’ credenti,» gli dissi, «posso assicurare vostra maestà ch’egli non esagera le sue ricchezze e la grandezza sua; ne sono testimonio. Non v’ha cosa che più desti meraviglia quante la magnificenza del suo palazzo, e lorchè quel principe vuol uscire in pubblico, gli vien eretto un trono sur un elefante dov’ei siede e procede in mezzo a due file composte da’ suoi ministri, da favoriti ed altre persone della corte. Davanti a lui, sul medesimo elefante, un ufficiale tiene una lancia d’oro in mano, e dietro al trono un altro, in piedi, porta una colonna d’oro, in cima alla quale sta uno smeraldo lungo circa mezzo piede e grosso un pollice. Si fa precedere da una guardia di mille uomini vestiti di drappo d’oro e di seta, e montati su elefanti riccamente bardati. Mentre il re è in marcia, l’officiale che gli sta davanti sullo stesso elefante, grida tratto tratto ad alta voce: