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delle entrate. In quella porzione di cortile sta un pozzo pubblico, ed ivi continuamente veniva gente a cavare acqua. Ma la mia prigione essendo così alta, gli uomini laggiù mi parevano fanciulli, ed io non discerneva le loro parole, se non quando gridavano. Io mi trovava assai più solitario che non era nelle carceri di Milano.

Ne’ primi giorni le cure del processo criminale che dalla Commissione speciale mi veniva intentato, m’attristarono alquanto, e vi s’aggiungea forse quel penoso sentimento di maggior solitudine. Inoltre io era più lontano dalla mia famiglia, e non avea più di essa notizie. Le facce nuove ch’io vedeva non m’erano antipatiche, ma serbavano una serietà quasi spaventata. La fama aveva esagerato loro le trame dei Milanesi e del resto d’Italia per l’indipendenza, e dubitavano ch’io fossi uno dei più imperdonabili motori di quel delirio. La mia piccola celebrità letteraria era nota al custode, a sua moglie, alla figlia, ai due figli maschi, e persino ai due secondini: i quali tutti, chi sa che non s’immaginassero che un autore di tragedie fosse una specie di mago?

Erano serii, diffidenti, avidi ch’io loro dessi maggior contezza di me, ma pieni di garbo.