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Capo XXXII.

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Nulla è durevole quaggiù! La Zanze ammalò. Ne’ primi giorni della sua malattia, veniva a vedermi lagnandosi di grandi dolori di capo. Piangeva, e non mi spiegava il motivo del suo pianto. Solo balbettò qualche lagnanza contro l’amante. — È uno scellerato, diceva ella, ma Dio gli perdoni! —

Per quanto io la pregassi di sfogare, come soleva, il suo cuore, non potei sapere ciò che a tal segno l’addolorasse.

— Tornerò domattina, mi disse una sera. — Ma il dì seguente, il caffè mi fu portato da sua madre, gli altri giorni da’ secondini, e la Zanze era gravemente inferma.

I secondini mi dicean cose ambigue dell’amore di quella ragazza, le quali mi faceano drizzare i capelli. Una seduzione?

Ma forse erano calunnie. Confesso che vi prestai fede, e fui conturbatissimo di tanta sventura. Mi giova tuttavia sperare che mentissero.