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capitolo ventesimosecondo. 549

educazione trasandata, e d’una vita floscia e pettegola, ha saputo farsi tagliar il viso dalle sciabolate, e tornar una settimana dopo al suo posto come fosse nulla!... Oh io gli voglio bene più che a me stessa, padre mio!... Adesso sì conosco, cosa voglia dire il volersi bene!... Diceva di amarlo per compassione, quando di compassione non aveva certamente bisogno; ma ora che forse la meriterebbe, io l’amo per istima, l’amo per amore.

— Sì, tutto va bene, benissimo; ma tua madre...

— Mia madre sa tutto da questa mattina; ella unisce le sue preghiere alle mie.... —

In quel momento si spalancò sgangheratamente la porta, ed Enrico, stesso che stava in agguato nella stanza vicina, mi si precipitò di là, supplicandomi di non volerlo allontanare prima che non avessi pronunciato la sua sentenza di vita o di morte. Egli mi stringeva le gambe, quell’altra furiosetta mi attorcigliava il collo colle mani, chi sospirava, chi piangeva; fu un vero colpo da commedia.

— Sposatevi, sposatevi nel nome di Dio! — sclamai raccogliendoli ambidue fra le braccia; e mai lagrime più dolci non isgorgarono dagli occhi miei sopra esseri più felici.

Allora volli anche sapere se e come il loro amore avesse continuato a mia insaputa, e dopo quella licenza formale intimata al giovine da Pisana per ordine nostro. Ma la fanciulla mi confessò, arrossendo, di aver scritto quel giorno due lettere invece di una, nella seconda delle quali raddolciva d’assai il crudo tenore della prima.

— Ah traditorella! — le dissi — e così m’ingannavi!... così quella faccenda delle lettere continuò poi sotto il mio naso infino ad ora?

— Oh no, padre mio, — rispose la Pisana — non avevamo più bisogno di scriverci.