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capitolo decimottavo. 301

a dovere voi lo capirete egualmente, e in ogni caso mi compatirete della mia ignoranza piena di buona volontà.

Se vedeste questi paesi, Carlino!... Non li conoscereste più!... Dove sono andate le sagre, le riunioni, le feste che allegravano di tanto in tanto la nostra giovinezza?... come sono scomparse tante famiglie che erano il decoro del territorio, e serbavano incorrotte le antiche tradizioni dell’ospitalità, della pazienza cristiana, e della religione?... Per qual incanto s’è assopita ad un tratto quella vita di chiassi, di gare fra villaggio e villaggio, di contese e di risse per le occhiate d’una bella, per l’elezione d’un parroco, o per la preminenza d’un diritto? — In quattro anni sembra che ne sian passati cinquanta. Non ci fu carestia, e si lagnano ogni dove della miseria; non ci furono leve di soldati nè pestilenze come in Piemonte ed in Francia; e le campagne sono spopolate e le case deserte dei migliori lavoratori. Chi emigrò in Germania, chi nella Cisalpina; chi accorse per far fortuna a Venezia e chi sta zitto per paura nei poderi più nascosti e lontani. La differenza d’opinioni ha disfatto le famiglie; i dolori, i patimenti, le soperchierie della guerra hanno ucciso i vecchi e invecchiato gli adulti. Non si celebrano più matrimonii; e di rado assai il campanello suona pel battesimo. Se si ode la campana, si può giurare ch’è per un’agonia o per un morto. La vigoria ch’era rimasta nei nostri compaesani, e che s’esercitava o bene o male in piccoli negozi di casa o di comune, ora s’è sfiancata del tutto. Rimasti senza armi, senza danari, senza fiducia, non pensano più che ciascuno a se stesso e pei bisogni dell’oggi; tutti lavorano dal canto loro ad assicurarsi un covacciolo contro le insidie del prossimo e le prepotenze dei superiori. L’incertezza delle sorti pubbliche e delle leggi fa sì che si schivino dal contrattare, e che si speculi sulla buona fede altrui piuttosto che affidarvisi.