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capitolo decimottavo. 283

ghissimo blocco. T’immagineresti ch’essa tien sempre sui ginocchi un vecchio gatto d’Angora così grasso, così morbido, che parrebbe una golaggine a qualunque milanese?

— Vada pel gatto d’Angora! — io sclamai. — Alla Pisana non le piacciono molto i gatti vivi, ch’io mi sappia; ma le si faranno piacer morti. E tutto starà a darle ad intendere che è brodo di pollo e non di gatto. Mi procurerò una manata di piuma e guarderò di spanderla per la casa...

— Se posso io per le piuma...

— Grazie, Alessandro; mi sovviene che in camera ne ho pieni i cuscini del letto. Piuttosto, come farai ad impadronirti del gatto d’in su i ginocchi della signora?... —

Lì il bravo colonnello tirò il mento nel collare, e se lo sfregolava che pareva lui un gattone in ruzzo di farsi bello.

— Sì, perdiana, come farai, s’ella è tanto invaghita del suo gatto?

— Carlino, ho avuto la disgrazia di piacerle più del gatto; e mi perseguita sempre ch’è una disperazione.

— È dunque brutta se ti dà tanto noia;

— Brutta, caro; spaventevole! Come farebbe un’avara ad esser bella? Mi par di vedere la signora Sandracca con qualche dente di meno. —

Io diedi un guizzo di raccapriccio.

— Ma sta pur cheto! non te la farò vedere: terrò tutto il gusto per me, e in riguardo tuo e della contessina rischierei anche di peggio. Ma spero di cavarmela collo spavento. Tutte le mattine ella usa bussare alla mia porta, e domandarmi se ho dormito bene, girando il chiavistello come per entrare: ma io finsi non m’accorgere mai di questa veglietta e alla sera ci metto di mezzo tanto di catenaccio. Piuttosto mi dimenticherei di cavarmi gli stivali, che di prendere una tal misura di sicurezza. Domani invece me