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capitolo secondo. 61

vita vegetativa, nojosa, abbominevole. In qual modo volete far durare uno, due, dieci, vent’anni in uno sforzo virtuoso, altissimo, nazionale, milioni d’uomini de’ quali neppur uno è capace di regger a quello sforzo tre mesi continui? Non è la concordia che manca, è la possibilità della concordia, la quale deriva da forza e da perseveranza. La concordia degli inetti sarebbe buona da farne un boccone, come fece di Venezia il caporalino d’Arcole. Ora, quando sarà bisogno che le forze si sieno quadruplicate, troverete in quella vece che la maggior parte si è infiacchita, sviata, capovolta: e invece d’aver fatto un passo innanzi avrà indietreggiato di due. — Vi parrà qui di esser ben lontani col discorso dalle piccole e ridicole lasciviette fanciullesche; ma guardate bene, e vedrete che le si avvicinano ed ingrandiscono, come dietro la lente d’un cannocchiale le macchie del sole.

Io che portai da natura un temperamento meno che tiepido, dovetti forse a questa circostanza di andar esente dal disordine, che deriva nel nostro stato morale dalla precocità dei sensi. Per quanto mi ricorda, le battaglie dell’anima si svegliarono in me prima di quelle della carne; ed appresi per fortuna ad amare prima che a desiderare. Ma il merito non fu mio; come non fu colpa della Pisana se la caparbietà, l’arroganza e l’ignara malizia infantile fomentarono la sua indole impetuosa, varia, irrequieta, e gli istinti precoci, veementi, infedeli. Dalla vita che le si lasciò menare essendo bimba e zittella, sorsero delle eroine; non mai delle donne avvedute e temperanti, non delle buone madri, non delle spose caste, nè delle amiche fide e pazienti: sorgono creature che oggi sacrificherebbero la vita ad una causa, per cui domani non darebbero un nastro. È presso a poco la scuola dove si temprano le momentanee e grandissime virtù, e i grandi e duraturi vizi delle ballerine, delle cantanti, delle attrici e delle avventuriere.