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468 le confessioni d’un ottuagenario.

lenzio! Fermi! Attenti!... — Parli il signor Carlino! — Oramai il cavallo era assediato da una folla silenziosa, irrequieta, e sitibonda di mie parole. Io sentiva lo spirito di Demostene che mi tirava la lingua; apersi le labbra... Ps, ps!... Zitti! Egli parla! — Pel primo esperimento non fui molto felice; rinchiusi le labbra senza aver detto nulla.

— Avete sentito?... Cosa ha detto? — Ha detto che si taccia! — Silenzio dunque!... Viva il signor Carlino! —

Rassicurato da sì benigno compatimento apersi ancora la bocca e questa volta parlai davvero.

— Cittadini (era la parola prediletta di Amilcare), cittadini, che cosa chiedete voi? —

L’interrogazione era superba più del bisogno: io distruggeva d’un soffio Doge, Senato, Maggior Consiglio, Podesteria e Inquisizione; mi metteva di sbalzo al posto della Provvidenza, un gradino di più in su d’ogni umana autorità. Il castello di Fratta e la Cancelleria non li discerneva più da quel vertice sublime; diventava una specie di dittatore, un Washington a cavallo fra un tafferuglio di pedoni senza cervello.

— Cosa chiediamo? — Cosa ha detto? — Ha domandato cosa si vuole! — Vogliamo la libertà!... Viva la libertà!... Pane, pane!... Polenta, polenta! — gridavano i contadini. — Questa gridata del pane e della polenta finì di mettere un pieno accordo fra villani di campagna e mestieranti di città. Il Leone e San Marco ci perdettero le ultime speranze. — Pane! pane! Libertà!... Polenta!... La corda ai mercanti! Si aprano i granaj!... Zitto! zitto!... Il signor Carlino parla!... Silenzio! —

Era vero che un turbine d’eloquenza mi si levava nel capo, e che ad ogni costo voleva parlare anch’io giacchè erano tanto ben disposti ad ascoltarmi.

— Cittadini — ripresi con voce altisonante — cittadini, il pane della libertà è il più salubre di tutti; ognuno ha