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436 le confessioni d’un ottuagenario.

sco, amico mio, quello che mi domandi. Credi che io pure a mia volta non ti abbia conosciuto?... Ti ho perduto di vista in seguito, ma dapprincipio mi era accorto che tu pure amavi la Pisana. Figurarsi se dovea prendermi soggezione d’un fanciullo!... Ora poi che sei grande, roseo, tarchiato, intendi accampare i tuoi diritti, e ti garba meglio accamparli contro un avversario che contro a due! Vieni a dirmi pietosamente; «ritirati pel tuo meglio; me ne saprai grado; vedi le mie spalle? esse hanno speranza e forza di recarti al cataletto.» — Non è vero che questo è il sugo del tuo ragionamento?

— No, non è vero! — sclamai, compassionando in questi ingiusti sospetti la tormentosa diffidenza del malato. — Non è vero, Giulio, e tu lo sai ch’io non son capace d’una frode, e ch’io non m’abbasserò mai a pregare un rivale!... Ah lo sapevi dunque?... Sì, io ho amato la Pisana quand’era fanciullo; non voglio nasconderti nulla, io l’amo ancora: e per questo appunto mi duole di vederla inesorabile contro di te! —

— Inesorabile? lo credi dunque! — gridò egli afferrandomi convulsivamente la mano.

— Inesorabile come chi non ricorda, come chi non vede; — io soggiunsi.

— Ma dunque tu vorresti persuadermi dell’impossibile! — riprese egli. — Vorresti darmi a credere che ti dia noja il veder la tua amante crudele verso un altro!... O impostore, o codardo, ecco qual vuoi comparirmi!... Ancora, ancora io fui indulgente a crederti impostore. Se così non fosse io ti disprezzerei maggiormente, e avrei ribrezzo del tuo vile compianto, come d’un lenocinio pagato.

— Taci, Giulio, taci! — sclamai trattenendo un impeto di sdegno e ponendogli una mano sulla bocca. — Sì, tu l’hai detto; io inorridisco di vedere non la mia amante, ma colei che amo più della vita, torturare e uccidere spen-